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Nadja El Beheiri: La dignita umana come vittoria della virtu sul vizio. Alcuni esempi dalla Repubblica Romana (IAS, 2010/4., 53-57. o.[1])

I. Introduzione

Il concetto di "dignita umana" appartiene senza dubbio ai concetti chiave delle dichiarazioni internazionali moderne sui diritti umani. E in questo modo che viene indicato dal preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani il riconoscimento della dignita umana rappresentante il fondamento della liberta, della giustizia e della pace nel mondo.[1]

La notevole importanza attribuita a questo concetto nei documenti internazionali ha avuto come conseguenza che anche nelle costituzioni dei singoli Stati la dignita umana viene considerata come fondamento, dalla quale vengono dedotti i singoli diritti umani. László Sólyom si e riferito cosi al fatto che la dignita umana viene designata come diritto base dalla prassi della Corte Costituzionale tedesca, americana e ungherese.[2] Nel commento della costituzione ungherese pubblicato nel 2009 viene descritto che dall'aspetto contenutistico il principio dei diritti umani viene determinato dal diritto naturale cristiano e dalla filosofia morale di Kant.[3] Sia nella tradizione cristiana che nella filosofia morale di Kant la dignita umana viene considerata come una conseguenza delle decisioni autonome, ossia prese liberamente. Una delle differenze tra la concezione classica-cristiana della liberta e quella dell'autonomia nella concezione di Kant consiste nel fatto che Kant vede l'indipendenza come una indeterminazione materiale-oggettiva, mente la concezione cristiana interpreta la liberta come autodeterminazione a cio che e buono.

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In uno studio pubblicato nel 1999 nell'American Journal of Jurisprudence dal titolo "Foundations of Human rights: The unfinished business" di Mary Ann Glendon, docente dell'Universita Harvard ed ex-ambasciatrice degli Stati Uniti alla Santa Sede, l'autrice ha indicato che il fatto che gli autori della dichiarazione dei diritti umani abbiano scelto il concetto della dignita come fondamento e strumento per la delimitazione dei singoli diritti relativamente all'interpretazione dei diritti umani, ha portato a problemi non poco rilevanti. Come esempio cita la richiesta di una "morte in dignita" intesa come eutanasia attiva e formulata come diritto di base da alcuni. E noto che questo diritto supposto viene considerato proprio anche dalla dottrina cristiana come attacco al diritto alla vita.

Con la scelta del concetto di dignita e stato sostituito il concetto di natura. Questo concetto ricopriva nella tradizione classica il fondamento per la derivazione dei diritti umani. La docente di diritto costituzionale comparato ha fatto notare che Kant aveva dedotto la dignita dalla capacita dei soggetti dotati di liberta nel prendere delle decisioni. Con cio suppone che l'uomo sia capace di decidere tra il buono e il male che tradotto nella vita reale significa la realizzazione della virtu e del vizio.

Contrariamente a cio Rousseau aveva dedotto la dignita umana dal fatto che la maggioranza delle persone prova empatia nei confronti del prossimo.

E problematico in queste concezioni della dignita umana che sono legate alle singole proprieta dell'uomo e da cio deriva che nei singoli casi quando le proprieta nominate - per qualsiasi motivo - non sono presenti, in tal caso viene a mancare anche il fondamento dei diritti umani.

Mary Ann Glendon fa presente che la tradizione cristiana deduce la dignita umana dalla convinzione che l'uomo sia stato creato su immagine di Dio. Accanto a questa fondazione teologica della dignita umana la dottrina della chiesa cattolica riconosce ancora il concetto della dignita come risultato di lotta ascetica che a sua volta e legata alla scelta tra il bene e il male. Con cio la dottrina cristiana riconosce la dignita da una parte come una proprieta oggettiva - trascendentale - dell'uomo e dall'altra come il risultato degli sforzi fatti dall'uomo per realizzare il bene.[4]

Quindi la dignita da una parte viene considerata come una proprieta di ogni uomo e dall'altra come il risultato degli sforzi del singolo per la realizzazione della virtu.

In termini di una premessa direi che l'uso del concetto in senso oggettivo sembra sostituire il concetto classico della natura. La combinazione di dignita e di virtu mi sembra, tuttavia, soprattutto nella vita politica di grande importanza. In seguito vorremmo giungere in base ad un esempio preso dalla Repubblica Romana alla migliore comprensione della dignita come risultato degli sforzi per realizzare la virtu.

II. Il concetto dignitas nell'antichita

In riferimento all'antichita si e occupato per es. Giuseppe Falcone da un punto di vista giuridico del concetto della dignita umana. L'autore sceglie la definizione di giustizia

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di Cicerone come punto di partenza per le sue analisi. Per quanto riguarda il concetto di dignita distingue in fondo tra due aspetti. Nelle analisi usa dignitas in un senso astratto e generico, ma con dignitas e possibile anche indicare il criterio usato per stabilirla, cioe si tratta di cio che ciascuno merita.[5] Questa interpretazione conduce al fatto che il comportamento puo avere come conseguenza situazioni favorevoli, ma anche punizioni. La determinazione di queste conseguenze forma l'oggetto della virtu della giustizia.

In questo senso Cicerone definisce in De inventione 2,160 iustitia - la giustizia -come "habitus animi communi utilitate conservata suam cuique tribuens dignitatem".

Ad un altra parte Cicerone indica nel pro dignitate cuique tribuatur esattamente come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo il fondamento della giustizia.

Nella parte denominata De officcis si tratta di definire quali sono i presupposti da osservare per la concessione di un beneficio. In relazione a cio Cicerone cita i presupposti che sono da osservare alla concessione di un beneficio. Sono il habitus interno (l'essere modesto, temperato, giusto), le azioni della persona specialmente per quanto riguarda l'adempimento degli obblighi, degli officia e la relazione interpersonale in riferimento alla persona che dovrebbe concedere il beneficio.

Una contrapposizione della virtu e del vizio ci sembra molto evidente negli scritti sui primi provvedimenti presi dai censori della Repubblica Romana relativamente al regimen morum. Alla competenza dei censori che da Theodor Mommsen sono stati indicati come "istituzioni piu originali della res publica romana"[6], apparteneva dal 312 a. C. il compito politico del cosidetto regimen morum che ai primi tempi consisteva prima di tutto nel fatto che dovevano escludere dal senato i censori senatori, le cui abitudini di vita (habiti di vita) non corrispondevano alla morale sociale romana. Negli scritti degli autori antichi sui primi provvedimenti di questo tipo i censori vengono riportati come esempio della virtu, mentre i senatori puniti incarnavano il vizio. In seguito viene esaminata una fonte di Aulus Gellius dal punto di vista dei criteri elencati da Cicerone relativamente al concetto di dignitas. La domanda e in che modo vengono considerati come determinanti per la formulazione di virtu e vizio in primo luogo il habitus interno, in secondo luogo l'azione concreta e in terzo lugo gli aspetti della provenienza che formano la relazione tra il cittadino e la res publica. I primi due criteri giudicano la questione su come il singolo cittadino si decide per il bene o per il male. La terza stabilisce un criterio indipendente dalla liberta di scelta dell'interessato.

III. Virtu e vizio nel senso delle fonti antiche

La contrapposizione tra virtu e vizio viene espressa in modo univoco nella descrizione del provvedimento che viene considerato come la prima esclusione dal senato. Le due personalita in contrapposizione sono da una parte il doppio console P. Cornelius

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Rufinus e il famoso homo novus C. Fabricius dall'altra. Come motivo per l'esclusione dal senato viene descritto che Cornelius aveva nel suo possesso 10 libbre di argento.[7] Gelllius mette a confronto i due uomini.[8] L'autore antico introduce il suo scritto con l'osservazione che Fabricius ritiene Cornelius un uomo avaro - homine avaro dixerit -che odiava e considerava come nemico. Tra gli atti eroici di Fabricius viene raccontato che nonostante cio egli aveva sostenuto il nemico nei tempi duri all'elezione a console. Come ragione si dice Cornelius quidem strennus et bellator bonus militarisque disciplinae peritus admodum fuit - era un abile e buon guerriero e conosceva l'arte della strategia militare. I concorrenti per l'ufficio invece erano inbelles quidem et futiles - inesperti e inaffidabili in affari di guerra. L'atto di Fabricius veniva spiegato col fatto che era meglio essere derubati da un concittadino che venduti dal nemico.

Quindi Gellius differenzia in modo chiaro il habitus - le proprieta della personalita - e l'atto esterno della guerra. E la stessa differenza che stabilisce anche Cicerone relativamente alla concessione di un beneficium. La filosofia classica utilizza per questa distinzione i concetti praxis e poiesis. Con in termino poiesis (che corrisponde al termino latino fare) si descrive l'agire tecnico-prodottivo, in cui il risultato rimane al di fuori di chi agisce. Nel presente caso quindi la vincita sul nemico.

Dal punto di vista della prassi viene rappresentata una buona azione non come una proprieta con vista al risultato raggiunto, del prodotto realizzato - indica molto di piu il valore dell'azione con vista al soggetto agente.

Se queste cognizioni vengono usate per la descrizione di Cornelius da Gellius, in tal caso l'affermazione significa che Cornelius e un guerriero abile e buono, e l'attributo "buono" si riferisce al "risultato tecnico" della vittoria e in questo senso non vengono negate a Cornelius le abilita corrispondenti. L'affermazione di Fabricius che preferisce essere derubato da un concittadino piuttosto che essere venduto dal nemico indica che Fabricius era dell'opinione che gli aspetti della vittoria che si realizzano oltre il prodotto concreto nella persona di Cornelius, sono negativi e rimproverabili. Una guerra condotta per motivi di avarizia rafforza nella persona del condottiero di guerra il vizio dell'avarizia. Un'azione tecnicamente buona non e ancora sufficiente per motivare un'azione moralmente buona. Per contrapposizione

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Gellius afferma relativamente a Fabricius: magna gloria vir magnisque rebus gestis fuit. Fabricius e un uomo buono e anche le sue azioni sono buone. L'esclusione di Cornelius dal senato rappresenta percio un rimprovero per le sue proprieta personali.

Per cui il caso predetto ci dimostra che Gellius da priorita agli aspetti dell'azione non solo nei confronti dei risultati esterni, ma anche chiede anche che il soggetto agente diventi un uomo migliore. Nella valorazione delle due figure da Gellius si ritrova anche tale forma del bene che rappresenta il fondamento dell'intera etica aristotelica sulla virtu. Si tratta del bene per il quale Aristotele usa l'espressione greca -

- la bellezza morale. La bellezza morale porta al fatto che l'uomo diventa

piu virtuoso - contenuto e piu giusto - attraverso le proprie azioni. Relativamente al campo di tensione esistente tra virtu e vizio si puo affermare che il vizio significa una diminuzione dello stato di essere un uomo. Con un'azione che dalla prospettiva della prassi deve essere indicato come un male, l'uomo libero fallisce, la condizione grazie alla quale riceve la propria dignita: L'intenzione non e rivolta piu a cio che e realmente buono.

Per quanto riguarda la posizione dei due uomini all'intero della res publica, bisogna affermare che Cornelius era membro delle piu antiche famiglie nobili romane e che il homo novus Fabricius era considerato una delle figure alla nascita della nobilta romana. Quest'ultima nobilta rappresentava l'esigenza per una comunita fondata sulla virtu. Cicerone afferma relativamente a questo gruppo che ha alla base il ceto di dirigenti romani in De senectute, che cercano un bene, che e di specia piu bella e nobile che per spontanea attrattiva si fa appetire: cio che ogni uomo dabbene, posta in non cale la volutta, dovrebbe fare studio di conseguire.[9]

Il campo di tensione tra patrizi e plebei puo essere considerato superato nel terzo secolo a. C. Da questo periodo in poi fino alla fine della repubblica romana la nobilta domina la vita politica. Un criterio decisivo per l'appartenenza da questo punto di vista al ceto sopraindicato non era piu la provenienza, ma lo sforzo per raggiungere la virtu.

I predetti dimostrano che la dignita era legata da un punto di vista storico allo sforzo per raggiungere la virtu. Se il concetto dignita viene usato per far derivare i diritti umani, in tal caso rappresenta senza dubbio una sfida la distinzione tra l'interpretazione del concetto come proprieta inerente ad ogni uomo e l'interpretazione del concetto della dignita come risultato dell'autonomia ben gestita dell'uomo.■

JEGYZETEK

[1] La prima frase del preambolo della dichiarazione stabilisce letteralmente: "Considerato che il riconoscimento della dignita inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della liberta, della giustizia e della pace nel mondo."

[2] Sólyom László: 23/1990. (X. 31.) AB határozat [Parere parallelo di László Sólyom.]

[3] Zakariás Kinga: Az Alkotmány kommentárja II. Budapest: Szazadvég Kiadó, 2009. 1903. [Commento dell'art. 54. 2.1.]

[4] Mary Ann Glendon: Foundations of Human rights: The unfinished business. American Journal of Jurisprudence, 1999, 44. 8-14.

[5] Giuseppe Falcone: Ius suum cuique tribuere. In Studi in onore di Romo Martini. Giuffre, 2008, 140-143.

[6] Theodor Mommsen: Abriss des römischen Staatsrechts. Leipzig: Duncker & Humblot, 1970, 176.

[7] Liv. Epit. 14.

[8] II testo di Gellio legge cosi: "Quid C. Fabricius de Cornelio Rufino homine avaro dixerit, quem cum odisset inimicusque esset, designandum tamen consulem curavit. Fabricius Luscinus magna gloria vir magnisque rebus gestis fuit. P. Cornelius Rufinus manu quidem strenuus et bellator bonus militarisque disciplinae peritus admodum fuit, sed furax homo et avaritia acri erat. Hunc Fabricius non probabat neque amico utebatur osusque eum morum causa fuit. Sed cum in temporibus rei difficillimis consules creandi forent et is Rufinus peteret consulatum competitoresque eius essent inbelles quidam et futtiles, summa ope adnixus est Fabricius, uti Rufino consulatus deferretur. Eam rem plerisque admirantibus, quod hominem avarum, cui esset inimicissimus, creari consulem vellet, "malo," inquit "civis me compilet, quam hostis vendat". Hunc Rufinum postea bis consulatu et dictatura functum censor Fabricius senatu movit ob luxuriae notam, quod decem pondo libras argenti facti haberet. Id autem, quod supra scripsi Fabricium de Cornelio Rufino ita, uti in pleraque historia scriptum est, dixisse, M. Cicero non aliis a Fabricio, sed ipsi Rufino gratias agenti, quod ope eius designatus esset, dictum esse refert in libro secundo de oratore." Gellius: Noctes Atticae, 4, 8, 1-8.

[9] Cicero: De senectute, 43.

Lábjegyzetek:

[1] A szerző associato professore (PPKE JÁK)

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