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Maria Pia Chirinos: Il lavoro come categoria antropologica (IAS, 2008/4., 7-20. o.[1])

Il lavoro come nozione oscillante nella storia della filosofia

Parlare di antropologia del lavoro oggi non e qualcosa di scontato. L'antropologia come campo di studio nella filosofia ha perso protagonismo, lasciando spazio alla cosiddetta antropologia culturale, che studia l'origine dell'uomo e le sue primitive manifestazioni culturali. Il lavoro, dal canto suo, rappresenta principalmente un tema d'interesse per la economia, il diritto, la sociologia e negli ultimi anni per la medicina del lavoro. Con eccezione del marxismo, si puo ribadire che la filosofia frequentemente ha trascurato questo argomento.

Un breve accenno storico lo conferma. Per i grandi filosofi greci, il lavoro non appartiene alle attivita propriamente umane. Platone, per esempio, rappresenta il lavoro al interno della vita quotidiana che si svolge nella "caverna", nella quale gli uomini sono essenzialmente dei sonnambuli, ancora ignari del bene e della verita e vivono come prigionieri. Per Aristotele il lavoro e la vita quotidiana sono aspetti dell'oikía o della casa in cui l'uomo non esercita le sue piu alte capacita. La perfezione umana si trova nella polis come luogo e nell'otium (Gr.: scholé) come attivita. Le dimensioni piu elevate - la virtu e la contemplazione delle verita eterne - sono raggiungibili grazie al fatto che l'uomo non svolge incarichi e compiti materiali. La casa come luogo e il nec-otium (Gr.: ascholía) come attivita sono riservate alle donne e agli schiavi, e costituiscono gli ambiti ideali della produzione e della riproduzione. Il lavoro non perfeziona l'uomo ma trasforma la realta materiale esterna per mezzo della ragione poietica: il risultato di questa trasformazione o prodotto misura la perfezione del lavoro e costituisce la sua verita.

Nel Medioevo tale concezione, pur rimanendo pressoché uguale, subi in primo luogo la influenza del cristianesimo. Nella vita ormai libera dei cristiani, dopo l'Edito di Milano (siamo agli inizi del IV secolo), il fenomeno ascetico comincia a evolversi in altre manifestazioni religiose e culturali, tra le quali spicca la vita monastica, con il suo allontanarsi dal mondo per dedicarsi alla contemplazione di Dio. La vita attiva, dal canto suo - quella delle occupazioni materiali, cioe del lavoro e della vita quotidiana -, continua ad avere gli stessi inconvenienti che il mondo classico le

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attribuiva. Pur essendo vero che il movimento monastico abbia enfatizzato la necessita del lavoro, formulata nella massima ora et labora, la riflessione segue orme molto simili a quelle dell'epoca classica. Da un lato, l'esortazione a lavorare appare come un invito ad evitare il vizio dell'oziosita, ma dall'altro, rimane come polo negativo della contraddizione tra vita contemplativa e quella attiva, tra le arti liberali e quelli servili, ecc. I secoli d'oro del medioevo (s. XII e XIII) continuano questa visione che propone l'appartamento del mondo come lo stato piu perfetto della vita cristiana.

Alla base del primo riscontro che messe in discussione la vita monastica, vale a dire, la Riforma luterana (s. XVI), la contraddizione tra vita contemplativa e vita attiva non sparisce, anzi, si perpetua. Tra i molteplici cambiamenti che Lutero annuncia, si trova quello di sostituire l'ideale contemplativo, che ritiene un abbandono irresponsabile del mondo, con un'ascetica intramondana che privilegia la vita attiva. In questa impostazione, il mestiere - Beruf - e la vita quotidiana giocano un ruolo determinante, perché accomunano il lavoro di ogni giorno con la vocazione che Dio concede all'uomo. Da qui scaturisce che tutti gli uomini devono lavorare per cooperare con Dio.

Quasi un secolo piu tardi, in campo filosofico compare una figura di rilievo a sostegno di queste considerazioni: René Descartes. Nei suoi scritti si scopre l'importanza che egli concede alla scienza e alle sue applicazioni tecniche. Sua e la proposta di sostituire la filosofia speculativa o teorica, vale a dire, quella che i classici identificavano con l'otium o contemplazione, con un'altra "radicalmente pratica, con la quale possiamo diventare signori e dominatori della natura".[1] Siamo davanti alla supremazia di quella che poi verra chiamata ragione tecnica. Il lavoro, infatti, comincia a vedersi come attivita propria dell'uomo, della sua ragione, e non sara piu una attivita servile.

Questa egemonia tuttavia durera poco. Con lo sviluppo tecnologico e il progresso, il lavoro diventa azione meccanica, ordinata alla produzione dei beni materiali e di consumi. In tale contesto, Adam Smith sviluppa le sue tesi capitalistiche mentre Karl Marx svolge la sua filosofia materialista contro il capitalismo. Tutte e due rimangono nella stessa concezione del lavoro inteso come produzione. Si verifica cosi un ritorno alle premesse classiche: li dove il lavoro puo essere sostituito da una macchina o dalle procedure tecniche, e corretto rimuovere qualsiasi valore umano. Tutto quello che e previsto che faccia una macchina deve farlo, e qualora fosse un uomo a eseguirlo diventa un'attivita servile. In questa ottica, i lavoratori manuali sono gli schiavi moderni: non utilizzano la sua ragione né la sua liberta, e percio non contribuiscono alla cultura.

Cosa caratterizza il lavoro umano nel s. XX? Il sapere, il conoscere; pero non qualsiasi sapere ma quello piu scientifico, astratto, intellettuale. Unicamente quando c'e innovazione e creativita c'e anche lavoro umano. Conseguentemente, non solo i lavori manuali e quelli svolti dai colletti blu (gli operai), ma anche quelli dei colletti bianchi (gli impiegati) vengono considerati monotoni e non razionali: il vecchio deve essere sostituito dalla informatica; la low-tech dalla high-tech. Parlare di lavoro oggi

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é parlare di settori professionali sempre piu ridotti: finanza, tecnologie avanzate e servizi sofisticati. Con parole di Matthew B. Crawford, la "degradazione del lavoro si riduce ad una questione di conoscenza".[2]

In questo brevissimo accenno storico, emergono alla luce due tesi di particolare interesse.

La prima se riferisce al lavoro inteso come nozione oscillante, in quanto viene sia contrapposto all'uomo sia identificato con l'uomo e le sue attivita piu specifiche. Il lavoro per i Greci e un'attivita secondaria, privata, materiale. L'uomo ha una finalita piu elevata: la contemplazione, la virtu, la politica. Per i primi filosofi moderni, il lavoro e la piu alta espressione della essenza umana: l'uomo e la sua ragione tecnica diventa il centro della creazione e percio la puo dominare, trasformare e addirittura ri-creare. Purtroppo negli ultimi secoli la nozione di lavoro si spacca: da un lato, il lavoro manuale viene sostituito dalla macchina e torna alla caverna, mentre le attivita altamente intellettuali si identificano con il vero lavoro umano, libero e razionale.

La seconda tesi si puo definire come "il paradigma del prodotto", vale a dire, il lavoro compreso sempre in termini di produzione: produzione e riproduzione nella oikía aristotelica; produzione scientifica e tecnica nella ragione moderna a partire di Descartes; e produzione economica nel capitalismo di Adam Smith, dove la proprieta privata regge l'economia, e nel marxismo, dove il comunismo domina i processi economici. La eliminazione della proprieta privata in favore del socialismo non sostituisce ma rinforza la definizione di lavoro come produzione: l'uomo e alienato dal prodotto del suo lavoro e deve sacrificarsi in favore dello Stato. Una definizione cosi porta direttamente a una materializzazione della nozione di lavoro: qualsiasi lavoro deve poter essere tradotto in un prezzo. Ha un valore di cambio che costituisce la sua prima qualita. Se e vero che nel mondo attuale, gli organismi tendono a riconoscere il lavoro come un diritto umano, alla base di questa esaltazione si trovano molto spesso considerazioni di tipo economico: il lavoro e un diritto necessario per l'acquisizione del benessere, che garantisce a sua volta il funzionamento dell'Amministrazione pubblica.

Dal punto di vista filosofico, tuttavia, non c'e nessuna menzione al lavoro come un mezzo che serva a raggiungere la realizzazione umana e la felicita, nessun riferimento neanche a una relazione tra lavoro e virtu. Anzi, come ribadisce Dominique Meda, sociologa francese e autrice di una recente opera sul tema, "il lavoro non e una categoria antropologica".[3] E cosi si dimentica la questione fondamentale: il lavoro, ha qualche collegamento con la definizione dell'uomo?

A sostegno di una risposta affermativa, si possono discutere le seguente proposte:

In primo luogo, sembra necessario riprendere la nozione di materia, sopratutto nella sua dimensione di materia viva e organica. Le attivita corporee nell'uomo vengono impregnate da ragione e volonta e stanno alla base sia del lavoro che della cultura.

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In secondo luogo, la dipendenza e la vulnerabilita nonché la dimensione della quotidianita devono vedersi come valori positivi di un modello umanistico, e cosi lasciar spazio a un approfondimento delle attivita che si dirigono a soddisfare i bisogni derivati da queste note.

La terza tesi definisce la nozione di lavoro come categoria antropologica, vale a dire come funzione propria dell'essere umano, ma non soltanto nelle sue esempi oggi piu noti (finanze, tecnologia, ecc.), ma anche nelle sue manifestazione piu polemiche. Questa sarebbe la quarta tesi: nei lavori che servono alle soddisfazione delle necessita corporali e quotidiane dell'essere umano possiamo scoprire l'intervento della ragione e della liberta e, per cio, anche l'origine della cultura. Questi lavori servono a uno scopo oggi molto dimenticato nonché piu che necessario: l'umanizzazione della vita quotidiana.

E' possibile parlare di materia viva?

Fin dalla Eta Moderna, nello studio delle realta materiali e prevalso il dualismo cartesiano. Secondo queste tesi, gli esseri viventi non razionali - le piante, gli animali - e la dimensione corporea dell'uomo - la res esterna di fronte alla res cogitans - vengono definiti in base alle coordinate di spazio e tempo. Da qui nasce il poterli equiparare ai movimenti meccanici e quindi spiegarli attraverso le leggi fisiche.

Ogni intento di far spazio a anime sensibili come principi attivi (vale a dire, alle forme aristoteliche e alle cause finale nella natura), doveva essere eliminato come superstizione.[4] L'unica "anima ammissibile" apparve la razionale. La ragione acquisto cosi ancora maggior protagonismo: l'uomo comincio a definirsi come coscienza, ragione pura, spirito assoluto, per arrivare al super-uomo, libero di ogni limite e annunciato dalla filosofia nietzscheana. Il filo conduttore di questo umanesimo diventa l'ideale d'uomo capace di tutto, senza limiti e destinato ad un'esistenza straordinaria e plenipotenziaria.[5]

La dicotomia tra l'anima e il corpo e arrivata al punto che, con parole di Stanley L. Jaki: "nella prospettiva astratta della fisica matematica di Descartes, l'uomo risultava trasformato in una pura mente, una specie di angelo. Nella prospettiva spiccatamente empirista, cosi come fu sviluppata da Darwin, l'uomo era inevitabilmente assimilato alle scimmie".[6]

Quello che si intravede, nonostante tutte queste sovrapposizioni, e la mancanza del vero uomo o della vera donna, con le loro caratteristiche minori ma reali: uomini e donne che soffrono, che hanno dei sentimenti, che sono . Né infra-umani come la scimmia, né divini come il super-uomo: esseri umani, anzi troppo umani, normali, con un'esistenza immersa nella quotidianita, vulnerabile e bisognosa.

Questa sembra la sfida che abbiamo davanti: ripensare la definizione di uomo a partire dall'anima e dal corpo, superando il dualismo razionalista, con il fine di

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arrivare a una nozione di uomini e donne dipendenti, con una dipendenza derivata dalla loro corporalita. Per ottenere questo scopo, dovremmo far piu posto al corpo e alla materia, come dimensioni essenziali della nostra esistenza. Percio, una materia viva in rapporto con la razionalita ma non come un semplice appendice, bensi come parte integrante dell'unita dell'uomo.

Fernando Inciarte, filosofo della Universita di Münster, con il fine di spiegare l'unita di corpo e anima e non cadere piu nel dualismo cartesiano, propone in primo luogo "recuperare" l'anima vegetativa - gia presente in Aristotele - perché e requisito assolutamente necessario per spiegare la vita a livelli superiori.[7] Conseguentemente, se gia con il razionalismo l'anima sensibile era considerata una superstizione, questa pretesa di Inciarte, sembra molto piu audace.

Il suo punto di partenza si basa sull'osservazione della natura: tanto le piante e gli animali quanto l'uomo presentano alcune caratteristiche comuni e condividono alcuni atti che possono esseri considerati di carattere universale. Per esempio: alimentarsi implica una relazione di interscambio tra l'essere vivente e il suo ambiente, che avviene per mezzo di alcuni organi specializzati. L'atto di nutrirsi viene condiviso sia dalle piante - attraverso le radici -, dagli animali - con il becco, con il muso o con altro organo simile -, e dall'uomo che mangia con la bocca. Tutte le forme di vita, da quelle piu elementari fino ai livelli superiori, hanno in comune atti esercitati attraverso organi specifici e diversi. Quindi, appare che quello che e universale non sia solo il genere "pianta" o "animale" in quanto tale, neanche il suo organo, bensi l'atto o la funzione di alimentarsi.

Se consideriamo la traslazione o movimento locale, caratteristica degli animali e dell'uomo ma assente nelle piante, vediamo che questa si realizza attraverso organi altrettanto differenti: l'uomo puo contare sugli arti, mentre nell'animale si osservano diversi forme di organi (zampe negli animali terrestri; ali negli uccelli; pinne in molti pesci, ecc.). Tutti questi organi, diversi tra di loro, permettono di compiere la stessa funzione, quella del movimento locale; e, a differenza della funzione, non sono universali ma diversi e molto specializzati.

La dimensione universale delle funzioni e chiamata da Aristotele il "genere fisico",[8] e appare in contrapposizione al genere logico, di carattere astratto. Applicato agli esempi appena presentati, si puo affermare che la funzione di alimentarsi e quella di muoversi appartengano a questo genere. Sono atti vitali che si servono degli organi, i quali rendono possibile che in diversi esseri viventi si realizzi la stessa funzione. Gli organi della nutrizione non implicano di per sé che ci sia un'alimentazione, sebbene rappresentino la sua condizione di possibilita. In se stessa, questa possibilita, benché sia reale, e soltanto questo: potenzialita e non attualita. L'atto che rende possibile alle funzioni di tutti gli organi formanti il corpo il passaggio dalla potenza all'atto viene chiamato da Aristotele anima: anima vegetale per le funzioni del livello cosi detto piú

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basso di vita, o con funzioni piu elementari; e anima sensibile per il livello superiore. E questo ci consente di parlare di un corpo animato e di esseri viventi dove la materia non e qualcosa di meccanico o di astratto, ma una manifestazione vitale.

Corpo e anima formano l'essere vivente nel suo insieme. Il corpo e l'intero essere vivente considerato secondo la possibilita; l'anima e l'intero essere vivente secondo l'attualita. In assenza dell'anima, gli organi non passano dalla potenza all'atto; senza organi, le funzioni non si eseguono. Ogni anima attualizza un corpo che e perfettamente coordinato per realizzare le funzioni proprie; e queste disposizioni formano un composto con organi corporei, diversi - o specifici - secondo il tipo di anima per il quale essi sono disposti.[9]

Dunque l'anima umana - nella definizione del razionalismo cartesiano - non puo essere spiegata come pura res cogitans o come coscienza. Le sue funzioni vitali non possono prescindere dalla sua dimensione corporale né essere ridotte a meri atti meccanici. La spiegazione appena formulata sulle funzioni e gli organi confuta l'intento della scienza di negare l'esistenza dell'anima vegetativa o dell'anima sensitiva senza conseguenze importanti. Le argomentazioni qui riportate riconoscono la sua presenza la dove c'e vita, e permettono di tornare alla definizione aristotelica di natura come "automovimento finalistico".

La dipendenza come caratteristica dell'unita nell'uomo

Nell'uomo la dimensione corporea appare anche legata alla sua anima con funzioni che superano quelle dei livelli precedenti e riceve il nome di razionale. Il nostro corpo e le funzioni che tradizionalmente si hanno denominato corporee non sono svincolati dalla ragione e dalla scelta libera, cosi come il conoscere e il scegliere non possono prescindere dei processi cerebrali e di altri meccanismi che l'uomo mette in moto con le sue azioni. Lo stato puro della natura umana, nel senso strettamente biologico, come aspirava Darwin, o strettamente spirituale, come voleva Descartes, non esiste: é una chimera.

Bisogna pero ribadire che la relazione tra anima e corpo e diventata oggi tema di molteplici studi filosofici che cercano di rispondere a domande che in altri tempi si risolvevano in ambiti psicologici e che adesso sono diventate un problema psiconeuronale. Nonostante il grande interesse di questa tematica, essa costituisce solo un lato della moneta, vale a dire, la difesa o no della razionalita e la liberta come dimensioni dell'anima umana radicate nel cervello, ma che "lo trascendono in quanto sono un rapporto costitutivo con le strutture universali della realta: l'essere, la verita,

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il bene".[10] L'altro lato della stessa moneta lo costituisce la tesi secondo la quale, l'uomo, per la sua intrinseca natura, cioe per quella relazione tra anima e corpo, diventa un essere con una vita molto simile agli animali: le sue necessita vitali, le sue malattie, perfino la sua morte riflettano funzioni che si trovano anche negli animali e che lo mostrano come un essere dipendente e vulnerabile.

Ebbene, questa animalita sembra essere stata per tanti filosofi che hanno lottato contro ogni sorta di riduzionismo antropologico. Sia la filosofia classica sia parte di quella contemporanea hanno rifiutato, con ragione, l'identificazione dell'uomo e la bestia, ma nel farlo hanno negato che gli atti legate al corpo possano rivelare note propriamente umane, vale a dire, siano atti liberi e razionali. L'enfasi degli studiosi intorno alle definizioni aristoteliche dell'uomo, pur avendo chiare le sue famose espressioni - zoon logikon, zoon politikon -, fecero prevalere la cosiddetta differenza specifica: nel primo caso la razionalita e nel secondo la socialita. Cosi dimenticarono un fatto decisivo: "colui che parla e un essere vivo e non una pianta, ma proprio un animale, il quale ha piu-somiglianze che dissomiglianze con alcuni animali non umani".[11]

Il rifiuto che molti filosofi hanno fatto della nostra animalita ha un motivo facilmente identificabile: fin dal tempo dei Greci, l'ideale umanista coincide con l'autarchia, con l'autonomia, con l'autosufficienza. Parlare di limitazione o di dipendenza, ancor di piu se si tratta del corpo umano, significa tornare alla caverna o alla schiavitu, quindi parlare di una ragione immatura o non ancora maggiorenne.

Tuttavia, un'accettazione corretta dell'animalita e della corporeita non significa una sottovalutazione. "Gli esseri umani - scrive Alasdair MacIntyre - sono vulnerabili rispetto ad una grande quantita di afflizioni varie [...]. E molto frequente che l'individuo dipenda interamente dagli altri per la sua sopravvivenza, non diciamo per la sua fioritura".[12] Anche Martha Nussbaum ha ribadito che la vita umana e specialmente vulnerabile e dipendente "dai beni esterni" fino al punto di considerare questi beni come "parte della vita eccellente".[13] Per tale motivo, l'assenza di beni materiali preclude all'uomo la possibilita di vivere bene e di godere di quel benessere necessario per acquisire le virtu.

Molti funzioni o atti naturali nell'uomo che si dirigono ai beni materiali, come il bere o il mangiare, meritano per cio una speciale attenzione. L'uomo, per esempio, ha una maniera di cibarsi totalmente propria. Le sue abitudini sono molto diverse e mutevole, non solo grazie a condizionamenti geografici o climatici, ma anche a quelli culturali, da lui stesso proposti. Per esempio, nel corso della storia, l'uomo ha mangiato con la mano, con le posate piu o meno sofisticate e sulla base di tradizioni e di tecniche tramandate di generazione in generazione. In questo modo, ha dato origini a una ricchezza culturale nel campo alimentare che oggi chiamiamo gastronomia. Questo sta a significare che l'uomo, anche nelle sue necessita piu corporale, non prescinde dalla sua intelligenza e, grazie ad essa, crea un'arte e una scienza per fronteggiare le sue necessita vitali.

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L'implicazione dello spirito nei confronti del corpo si rende evidente nel vestiario e nell'abitazione. Gli animali non hanno bisogno di vestirsi per sopravvivere. All'uomo, invece, li occorre questa protezione ma non si limita a procurarsi quello che la natura non gli ha concesso. Attraverso il vestiario, l'uomo pone le basi di una attivita culturale, che risolve una necessita naturale ma va oltre: spiega anche la sua identita sociale. Siamo davanti all'origine della moda.[14] Nel caso dell'abitazione accade qualcosa di simile: visto che l'uomo non la trova in natura, finisce per costruirla. La casa rappresenta una soluzione ad una necessita per la quale gli istinti non bastano. E per questo, anche al giorno d'oggi, l'abitazione e un segno inequivocabile di civilta e di creativita, non solo intellettuale ma anche materiale, tecnica e artistica.

Gli atti umani diventano una congiunzione armonica del naturale-corporeo e l'intelligente-libero. La armonia svela un finalismo intrinseco, una tendenza o intenzionalita reale e presente nelle necessita corporali che sono atti dell'anima razionale. Queste due livelli - corporeo e razionale - non si contrappongono, ne sono mutuamente escludenti, ne vanno in parallelo: presentano lo stesso fine perché corrispondono allo stesso atto dello stesso agente. L'intenzionalita e diversa da quella che avviene in natura, perché e aperta e si dirige a molteplici oggetti o modi di essere compiuta. Mentre gli animali soddisfano le sue necessita sempre allo stesso modo, nell'uomo le stesse necessita sono alla base dello sviluppo culturale. L'uomo non solo assolve la necessita di mangiare, ma puo fare un cibo piu ricco in valori nutritivi, puo presentarlo in modo artistico, puo ottenere un vantaggio economico a seconda degli ingredienti che utilizza, puo cucinare gli stessi ingredienti in modi diversi seguendo tradizioni gastronomiche varie, ecc. Allo stesso tempo, l'uomo puo correggere le sue azioni e andare avanti con risposte migliori. Cosi nasce e si arricchisce la cultura.

Quindi la cultura non e esclusiva degli atti razionali. Appare evidente nell'uomo precisamente in quanto essere corporeo, vulnerabile e dipendente e che cerca soluzioni per le sue necessita quotidiane. In assenza di risposte predeterminate o metaboliche per fronteggiare i suoi bisogni, l'uomo risponde con il lavoro. La dipendenza e la vulnerabilita umane diventano condizioni per lo sviluppo della cultura, ma non di una cultura aristocratica che viene definita soltanto dalle opere d'arte (letteratura, musica, belle arti) ma di una cultura piu amplia che include i lavori dell'oikía: una cultura, per cosi dire, piu democratica, piu universale.

Il lavoro come categoria antropologica: approccio negativo

L'interesse per il lavoro appare piuttosto come una questione moderna. Il pensiero hegeliano rappresenta il piu vigoroso intento di sollevare la relazione tra uomo, lavoro e cultura. Nella Fenomenologia dello Spirito, Hegel spiega il processo della conoscenza come dialettico: conoscere e opporsi ad un oggetto esterno, trasformarlo

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e comprenderlo come parte integrante di se stesso.[15] Questo processo definisce l'Assoluto: Dio si conosce attraverso le "produzioni" umane. L'uomo, lavorando, distrugge l'elemento naturale e fa si che la vita dello Spirito ritorni su di sé e assuma forme ogni volta piu spirituali tra le quali si trovano le scienze, l'arte, la filosofia o la politica. Il lavoro e, pertanto, il termine medio tra la natura e lo Spirito.

Ma approfondire nel idealismo assoluto sarebbe un compito molto oneroso che eccede la finalita di questo articolo. Un riferimento a Hannah Arendt sembra piu adatto. Arendt riprende le posizioni aristoteliche sulla vita politica, e contemporaneamente sviluppa, forse per la prima volta in filosofia, il paradigma del homo faber come agente di cultura.[16] Le sue due tesi - il ricupero della polis e, per cosi dire, la nascita del homo faber - rinnovano talmente il pensiero politico degli anni 60 che l'attenzione sulla Arendt non si rivolge ad un'altra tesi che, secondo la stessa autrice, e anche di gran rilievo: la distinzione fra labour e work, o - secondo la traduzione italiana - fra lavoro e opera.[17] Questa distinzione rivela una relazione tra uomo-lavoro-cultura che servira di base alla concezione contemporanea di lavoro gia accennata: quella che lo capisce come sinonimo della conoscenza scientifica o astratta e che porta a un umanesimo di stampo aristocratico.[18]

La distinzione tra labour e work trova conferma secondo Arendt nel semplice fatto che ogni lingua, antica e moderna, possiede due termini etimologicamente distinti per nominare il lavoro nonostante nelle lingue vernacoli siano usati persistentemente come sinonimi.[19] Il termine labour comprende tutte le attivita tra produzione dei beni fino al consumo degli stessi (alimentarsi, preparare alimenti, provvedere ai bisogni, curare le infermita, respirare, ecc.). Il labour cosi definito corrisponde alla proposta marxista di lavoro, secondo la quale il lavoratore, cioe, colui che lavora e consuma cio che produce, procede seguendo regole metaboliche senza liberta.[20] L'uomo che compie questi atti rientra in quello che viene definito l'animal laborans, e Arendt denuncia la sua omnipresenza nella nostra societa

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dove il consumismo prevale. La sfera privata ha invaso la sfera pubblica e i limiti tra privato e pubblico non esistono piu.

Il secondo termine - work, che sarebbe il contributo innovativo di Arendt -, fa riferimento ad un significato nuovo di lavoro, che non trova riscontro nella filosofia marxista. Secondo Arendt, il work sta a indicare la produzione di "oggetti per l'uso", "caratterizzati dalla durevolezza"[21] e che danno origine alla cultura. Il suo soggetto intelligente e libero e l'homo faber.

Arendt riconosce un'altra attivita propria della nostra condizione, di stampo aristotelico: l'azione umana che definisce la vita civile e pubblica e consiste nel dialogare e nel convivere tra uomini che si riconoscono liberi e che si propongono obiettivi e imprese che danno valore alla vita.

Molto si e scritto sul metodo e sulle proposte di Arendt. Una buona parte della filosofia politica contemporanea non puo fare a meno di riferirsi alle tesi sull'azione pubblica in senso aristotelico, per seguirla o per confutarla. Tuttavia, sulla comprensione o interpretazione dei concetti di work e di labour, il dibattito e ben piu esiguo. Tra le motivazione di questa mancanza d'interesse, se ne possono dare le seguenti.

Gli anni 60 costituiscono un marco specialmente proficuo per la accettazione delle tesi che Arendt sviluppa sul labour. E una decada dove prevalgono valori economici e culturali come la quantita, la produzione in serie, la ripetizione, ecc. Agli occhi della societa, il progresso e l'invenzione di macchine (anche di quelle di uso domestico) risolvono gran parte degli inconvenienti della vita quotidiana. A sostegno di queste tesi, il movimento femminista sviluppa una "second wave" o seconda ondata piu aggressiva, con esponenti di spicco, come Betty Friedan e la sua conosciuta denuncia contro il lavoro domestico delle donne.

Nel circoscrivere le attivita che costituiscono il labour, Arendt include tutte quelle che si dirigono a coprire le necessita basiche dell'uomo legate alle sue corporalita, e li presenta come attivita non razionali, non liberi e con risultati deperibili, caratteristiche che non sono rappresentative dell'uomo.[22] Allo stesso tempo, lascia aperta la possibilita di un lavoro umano, quello del homo faber, che diventa la nozione emblematica negli anni successivi: produce beni che servono alla cultura, include riferimenti alla ragione e alla liberta, e sta alla base della vita buona del cittadino, che puo dedicarsi cosi alla politica e alla virtu.

La lezione di Arendt diventa chiara: bisogna denunciare il mondo del animal laborans che serve soltanto al consumismo, e tornare a una definizione dell'uomo come essere razionale dedicato all'otium, al tempo libero - libero per belle azioni -,

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alla contemplazione della verita, alla cultura che svolge l'homo faber e che umanizza l'uomo. Il labour, inteso come attivita produttiva e riproduttiva che sparisce nel consumo, dis-umanizza l'essere umano: lo rende schiavo delle necessita materiali, senza ragione e senza liberta. A questo livello, l'animal laborans non contribuisce alla cultura, perché il labour si chiude e sparisce con i prodotti che si consumano. Con Arendt, dunque, si torna all'umanismo aristocratico di stampo aristotelico.

Il lavoro manuale come categoria antropologica: approccio positivo

Le tesi di Arendt certamente vogliono denunciare la banalita di una societa che prima diviene consumistica e poi addirittura edonista. Ciononostante, quello che forse Arendt non avvisto fu un altro aspetto della dis-umanizzazione della societa che denunciava: eliminare o denigrare l'animal laborans porto a considerare tutte le sue attivita come scarsi di trascendenza e conseguentemente a sottovalutare la vita quotidiana come ambito favorevole per la maturazione dell'uomo. La categoria di "umano" si riservo ogni volta piu giustficatamente alla cultura e all'arte, alle scienze e alla politica. Il lavoro manuale fu tralasciato perché la macchina prima o poi lo sostituirebbe.

Quaranta anni dopo la pubblicazione di The Human Condition, la critica alla posizione arendtiana, e concretamente la non validita della sua distinzione tra labour e work, appare un compito da non procrastinare. Atti come il mangiare, il cucinare o il prendesi cura delle vite umane fragili e vulnerabili rivelano una tale copiosita nelle sue manifestazioni storiche e culturali, che permettono di parlare di una nascita di arti e tradizioni umane dove la ragione e la liberta giocano un ruolo decisivo. In questo senso, il fatto che i prodotti del labour siano deperibili non diminuisce la sua ricchezza, e cosi lo dimostrano tanti arti minori della vita quotidiana come la gastronomia, la decorazione, ecc.

Rimossa questa distinzione o, meglio ancora, ritenendo che il labour e il work arendtiani siano tutte e due attivita lavorative umane, un altro aspetto che bisogna criticare riguarda il cosi detto "paradigma del prodotto". Nell'ottica arendtiana, infatti, il labour e il work sono sempre descritti come attivita produttive. La differenza comincia soltanto quando si attende alla circostanza temporale del prodotto: il labour produce beni deperibili; il work, durevoli. Ebbene, una critica di questa caratteristica diventa la porta di acceso ad una antropologia del lavoro, che possa mettere in risalto la relazione tra uomo, lavoro e cultura.

Quando nel lavoro il prodotto si mette in risalto, il lavoro viene identificato con il risultato delle attivita svolte dall'uomo, con il prodotto, e risulta difficile svincolare il lavoro da valori di tipo materiale o economico. Quando, invece, l'uomo si trasforma in protagonista della attivita lavorativa, il lavoro diventa il mezzo per il quale egli acquisisce dei beni interni,[23] che lo perfezionano in quanto uomo.

Secondo queste premise, qualora l'uomo viene inteso come l'elemento trainante o il nocciolo del binomio lavoro-cultura, né l'attivita lavorativa né le manifestazioni

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culturali possono prescindere dalle dimensioni corporali umane, quindi, dalla condizione dipendente, fragile e vulnerabile che ci caratterizza. E qui si apre lo spazio per un approccio filosofico e positivo di quelli lavori che hanno come scopo soddisfare le necessita quotidiane, descritti come lavori manuali.

Quanto detto potrebbe dare avvio a una nuova tesi: bisogna lasciare temporaneamente l'interesse per il risultato materiale di tali lavori e spostarlo verso il modo e le idee che essi richiedono. Questa impostazione rivela che, pur essendo vero che simile attivita implicano un incontro sistematico con il mondo materiale, i lavori manuali non possono essere stabiliti unicamente in termini di materialita, o con altre parole, stanno alla base di nuove qualita o beni interni che si acquistano tramite gli stessi lavori.

L'attivita lavorativa, infatti, puo anche definirsi come conoscenza, vale a dire, come un dialogo attento tra le mani intelligenti della donna o dell'uomo e la natura; un accordo tra quello che si fa, come si fa e l'idea astratta - e senza valore reale - di cio che si vuole fare. Nel lavoro manuale il come diventa rilevante: "quello che bisogna imparare per saper fare, bisogna prima farlo che saperlo".[24] In questo modo si perviene ad un risultato che si trasforma in oggetto di un sapere che perdura tutto il tempo dell'azione e che non s'identifica con un conoscere teorico immediato e simultaneo. In questo senso, le mani non materializzano delle idee che si presentano apparentemente trasferibili ed inseribili nella realta. Al contrario, quello che si intende realizzare non e mai predefinito in quanto deve considerare l'indeterminazione e la resistenza della materia.

Il lavoro manuale rivela cosi la ragione pratica che si delinea grazie ad un intrinseco carattere circolare, che permette di correggersi ed essere corretta, senza che la correzione richiami per se un errore.[25] Il tipo di giudizio richiesto da questa razionalita compare con l'esperienza: segue intuizioni piu che regole astratte (hunches rather than rules...).[26] Proprio per questa ragione, i lavori manuali servono di supporto alle scienze naturali. Ben eseguiti, prima creano il know-how, poi si perfezionano con la ripetitivita che consente miglioramenti nei processi produttivi e tecnici, e cosi la tecnologia che da loro scaturisce permette avanzamenti scientifici importanti.[27]

In contrasto con la ragione dominante nella Modernita, il lavoro manuale destinato a soddisfare le necessita basiche della vita presuppone una crescita di abilita acquisite

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per ripetizione (craft), nonché una conoscenza di cio che avviene in natura. Il lavoro manuale esprime, infatti, una valutazione razionale del creato perché riconosce un ordine e un ritmo prestabilito e quindi reale, lasciando meno spazio a valutazione astratte. Queste nuove competenze o "crafts" rappresentano un plus nell'uomo che domina il suo mestiere e percio costituiscono altri beni interni ottenuti tramite il lavoro. Si sviluppa cosi una forma di esperienza, frutto della contemplazione del particolare e del materiale, che l'uomo trasforma in una cultura umana non enciclopedica. Questo comportamento ha dato nascita ai primi mestieri: la pesca, la caccia, la coltivazione dei campi. Da quanto detto si evince che le soddisfazioni delle necessita corporee dell'uomo, fin dall'inizio della sua esistenza, hanno portato un miglioramento nella qualita di vita e hanno provvisto la nostra storia di ricche tradizioni popolari e culturali che sono vere e propri arti.

La dimensione manuale del lavoro si rivolge all'uomo , corpo e anima, dipendente in quanto riguarda la corporeita, con necessita materiali perché vulnerabile. La dipendenza e la vulnerabilita dell'uomo sono la causa dello sviluppo di un insieme di relazioni e azioni, in torno alle quali diventa possibile acquisire altri tipi di beni interni, in questo caso morali, che si chiamano virtu. Nella quotidianita dell'ambito familiare e dei lavori che da questo ambito scaturiscono, le virtu che si possono acquisire sono la generosita, la prudenza o la pazienza. Le virtu rivelano una capacita relazionale propria: sono attributi morali che sorgono sempre con altri atti, come si fossero degli avverbi. La sua rilevanza e dovuta al fatto che quando, per esempio, in atti della vita quotidiana, il lavoro non si fa con moderazione o con giustizia, allora non rimane neutro: in quei casi, il lavoro cosi fatto diventa il mezzo per i vizi che non perfezionano l'uomo e che lo fanno diventare cattivo.

MacIntyre ribadisce che Aristotele "ha capito molto bene l'importanza di determinate forme di esperienza per la pratica razionale (ha scritto: ": Metaf. A 981 a 14-15). Tuttavia, non tenne conto dell'esperienza "di coloro che hanno sofferto le afflizioni e la dipendenza: le donne, gli schiavi e i servi, che hanno lavorato nei cantieri di produzione, cosi come i coltivatori, i pescatori e gli operai",[28] e cio ha privato l'uomo antico e moderno di una ricca fonte di conoscenza per poter diventare "esperto in umanita".

La risposta umana alla dipendenza e alla vulnerabilita propria dell'uomo si manifesta nella specifica relazione di cura, che differenzia all'uomo dagli altri esseri viventi, il cui valore non e quasi riconosciuto nella nostra societa tecnocratica ed efficiente. In conseguenza, la vulnerabilita o indigenza dell'uomo puo e deve essere una indicazione nuova per svelare cio che significa l'uomo. E quando si parla di indigenza bisogna intendere anche e soprattutto quella corporea. Per questo motivo i mestieri diretti a far fronte alle necessita corporee quotidiane, all'assenza di salute, alle mancanze materiali, ecc. meritano un'attenzione particolare. Attraverso

il loro esercizio si puo cogliere meglio una caratteristica propria dell'essere persona: la sua condizione di creatura. Questi lavori consentono anche di stabilire una

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relazione del tutto singolare con chi soffre, che nell'etica cristiana viene chiamata misericordia. Per questo, i lavori diretti a soddisfare le necessita materiali e quotidiane, lungi dall'essere meno importanti, permettono di esercitare in ogni momento questa misericordia e ricordano all'uomo e alla societa il valore intrinseco di ogni vita umana.

"Chi domina un mestiere ha una specie di empatia con la realta su cui lavora, cosi che puo immediatamente distinguere l'essenziale dall'accidentale, ed e in grado di individuare rapidamente il quid della questione, quello che gli Anglo-Sassoni denominano the point".[29] Questa capacita di discernimento costituisce parte intrinseca della conoscenza pratica e allo stesso tempo e una conoscenza sapienziale, che implica un'attitudine diversa dalla tecnica e anche dalla teoria: ha il potere di umanizzare relazioni che nella societa tecnologica e nei lavori intellettuali sono diventati troppo meccaniche o troppo astratte. Tanto la contemplazione come le azioni che girano intorno alla vulnerabilita dell'uomo ci consentono di attribuire ai lavori manuali che soddisfano le proprie necessita e quelle altrui nell'ambito familiare la sua dimensione di servizio.

A modo di conclusione: i lavori manuali trascendono o arricchiscono le connotazioni materiali con le quale frequentemente vengono definiti, perché umanizzano le relazioni quotidiane che stanno alla base della nostra fioritura come agenti razionali. Percio la descrizione dei lavori proposta consente di assegnare a queste attivita un valore umano, culturale e sociale di lunga portata. Sono lavori che richiedono intelligenza pratica, volonta, immaginazione, sensibilita; sono attivita che permettono acquisire virtu umane decisive per la convivenza; contribuiscono alla cultura dell'uomo e della donna senza ridurre il suo significato a ambiti aristocratici; e perfino umanizzano tanti circostanze nella societa odierna trascurate dai nuovi stile di vita. La proposta di dare un valore altamente umano ai lavori manuali destinati a soddisfare le necessita della nostra condizione vulnerabile puo significare una prima vittoria intellettuale nella battaglia per caratterizzare ogni tipo di lavoro come attivita altrettanto umane. In fine, si apre la strada per accettare una definizione di uomo dove la ragione astratta lascia la sua totale egemonia, per far spazio a la corporeita e alla sua dipendenza, come ambiti dove l'uomo puo e deve essere accolto come tale.■

JEGYZETEK

[1] Dicours de la méthode. J. Vrin (ed. E. Gilson), Paris 1976[5], 61-62.

[2] M. B. Crawford: Shop Class as Soulcraft. The New Atlantis, 13 (2006), 18. Ringrazio i suggerimenti che ho ricevuto da questo autore e dagli professori presso la University of Virginia, nel incontro che ho avuto per presentare alcune delle tesi che adesso presento in questo articolo.

[3] D. Meda: Societa senza lavoro. Per una filosofia dell'occupazione. (trad. it. Alessandro Serra) Milano: Feltrinelli, 1997, 24.

[4] Cfr. R. Spaemann: Personas. Pamplona: EUNSA, 2000, 154.

[5] A. Macintyre: Animali razionali dipendenti: perché gli uomini hanno bisogno delle virtu. (trad. M. D'Avenia) Milano: Vita e pensiero, 2001, 22.

[6] S. L. Jaki: Angels, Apes and Men. La Salle, Illinois: Sherwood Sugden, 1983, 7-8.

[7] Cfr. "Das Leib-Seele-Problem aus aristotelischen Licht", pro manuscrito, p. 3. Non dispongo della datazione di questo manoscritto. Si sa, pero, che Inciarte ha pubblicato tre articoli in relazione a questo studio, il primo dei quali si intitola "Die Seele aus Begriffsanalytischer Sicht", in H. Seebab (ed.): Entstehung des Lebens. Studium generale Wintersemester 1979/1980. Münster: Aschendorf, 1979, 47-70.

[8] Vid. Metafisica. (trad. G. Reale) Milano, 2000, VII, 8, 1033 b 32.

[9] "Non le parti degli animali, come l'occhio, la mano, le carni, le ossa e simili, ma il tutto soltanto e una specie: e quindi in senso proprio, non si puo dire che esse appartengano a specie diverse - questo vorrebbe dire universalita logica -, ma a diverse disposizioni (funzioni: universalita fisica). E questa diversita di disposizioni conviene all'anima intellettiva, la quale, sebbene unica nell'essenza, pure e molteplice nella virtu, a causa della sua perfezione; percio abbisogna di disposizioni diverse nelle varie parti del corpo al quale e unita, appunto per le diverse operazioni. Per tale ragione vediamo che e maggiore la diversita delle parti negli animali perfetti che in quelli imperfetti; e in questi piu che nelle piante." T. D'Aquino: Summa theologiae. I, q. 76, art. 5, ad 3.

[10] J. J. Sanguineti: La scelta razionale: un problema di filosofia della mente e della neuroscienza. Acta Philosophica, II, 17, 2008, 247-272.

[11] A. Llano: Humanismo cívico. Madrid: Ariel, 1999, 175.

[12] Animali razionali dipendenti. 15.

[13] La fragilita del bene: fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca. (trad. it. M. di Scattola) Bologna: Il Mulino, 1996, 33-34.

[14] Cfr. A. Cruz Prados: Moda, modos y maneras. Nuestro Tiempo, ottobre 1990, 116-127; M. Herrero: Moda & postmodernita. Studi Cattolici, n. 493, marzo 2002, 180-184.

[15] Cfr. G. W. F. Hegel: Fenomenologia dello Spirito. (introd. trad. e note a cura di V. Cicero) Milano: Bompiani, 2000, 59.

[16] Cfr. Vita activa. La condizione umana. (trad. Sergio Finzi) Milano: Bompiani, 1988[2]. Cio nondimeno il concetto sembra anteriore. In effetti, anche se l'espressione homo faber non si trova nel Capitale, Karl Marx, nel capitolo VII, seguendo l'esempio di Benjamin Franklin senza pero citarlo, defini l'uomo come fabbricatore di strumenti (Cfr. Il Capitale: critica della economia politica. I. Torino: UTET, 1947). Per questo motivo, non sono pochi quelli che indistintamente attribuiscono a Marx e alla Arendt questa espressione negli stessi termini semantici.

[17] Le parole italiane e sopratutto la traduzione del work arendtiano con la parola opera, a mio avviso, non coglie bene il pensiero di questa autrice. Percio utilizzero le parole in inglese.

[18] Cfr. Vita activa. capitoli III, IV e V.

[19] Cfr. Vita activa. 59.

[20] Qualche anno fa e stata pubblicata una lettera inedita di H. Arendt dove riprende quest'argomento. In questa occasione, pur accettando alcune caratteristiche del lavoro, ne rifiuta la razionalita e aggiunge "that they all (le caracteristiche) are on the basis of coercion: labor is never free activity, not only or primarily because it depends on matter but because it is necessitated by our body, whose needs have a quality of coercion which no other human need has. Labor as necessitated by daily life and therefore daily repeated does not necessarily result in any lasting product. It exhausts itself in the activity itself; its products are consumed immediatety". R. Munoz: Correspondencia inédita Y. Simon-H. Arendt. Lettera di H. Arendt a Y. Simon, del 13 luglio 1953. Anuario Filosófico, 2002 (35), 747.

[21] Vita activa. 97.

[22] Dominique Méda, che segue molto da vicino il pensiero della Arendt, aggiunge: "In questa societa di lavoratori, dove la vita viene trascorsa nel riprodurre le condizioni di vita, noi siamo privati di cio che costituisce l'essenza dell'uomo: il pensiero, l'azione, l'opera, l'arte. L'uomo si e mutilato in questa storia fino a perdersi. Il risultato e un'umanita degradata, in cui la dignita dell'uomo non viene salvaguardata e in ogni caso e infinitamente lontana dalla humanitas autentica". Societa senza lavoro. 121. E Margaret Canovan spiega che questo chiarimento di Arendt "sembra piu un'impostazione culturale, nella quale la politica si assomiglia implicitamente all'alta cultura (high culture)". Cfr. "Hannah Arendt: Critical Essays", in SUNY Series in Political Theory, (edited by L.P. Hinchman and S. Hinchman) Albany: State University of New York Press, 1994, 184.

[23] Utilizzo questa espressione seguendo la spiegazione che MacIntyre offre in torno alla nozione di practice in After Virtue. MacIntyre parla di internal goods. Nella traduzione italiana si preferisce la espressione valori interni: non seguo questa scelta. Cfr. Dopo la virtu. (trad. Marco D'Avenia) Roma: Edusc, 2007[2].

[24] F. Inciarte: Breve teoría de la Espana moderna. Pamplona: EUNSA, 2001, 114; cfr. pp. 116 e ss. per cio che si riferisce alle regole.

[25] F. Inciarte: El reto del positivismo lógico. Madrid: Rialp, 1974, 210-211.

[26] Crawford op. cit. 15. Non e una sorpresa che questa spiegazione di Crawford su una conoscenza "esperienziale", non basata principalmente sulla nostra capacita teoretica, coincida con alcuni aspetti della dottrina aristotelica della ragione pratica o "retta ragione". In questo senso, ne vale la pena riportare l'esempio classico dell'Etica Nicomachea: "il falegname e il geometra ricercano entrambi l'angolo retto, ma in maniera diversa. Il primo lo ricerca per quel tanto che e utile alla sua opera, il secondo ne ricerca l'essenza o la differenza specifica, poiché e un uomo che contempla la verita" (cfr. Libro I, 1098 a 30-33).

[27] Crawford op. cit. 13. Pertanto non si tratta di rifiutare la tecnica o di opporla sistematicamente al lavoro manuale: c'e una corrispondenza e, anzi, una specie di "feed back" tra le due. Questo forse non si apprezza oggigiorno, pero all'epoca fu assolutamente essenziale per lo sviluppo della tecnica. Ringrazio il Prof. Sanguineti per le sue osservazioni al riguardo, che mi servirono per chiarire questa sfumatura positiva.

[28] Animali razionali dipendenti. 21.

[29] A. Llano: El diablo es conservador. Pamplona: EUNSA, 2001, 198.

Lábjegyzetek:

[1] A szerző Pontificia Universita della Santa Croce, Roma

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