In questa conferenza io saro un guastafeste, perché secondo me il concetto della dignita e troppo vago, troppo elastico per poter fornire una base solida a qualsiasi norma, comprese anche quelle del rispetto dei diritti. (Oggi questo forse si sente scandaloso, ma dobbiamo ricordarci che il pensiero cattolico nel passato elaboro teorie morali imponenti senza usare la dignita per fondare diritti, anzi, la dignita era talvolta considerata una cosa che puo perdersi, come per esempio San Tommaso lo scrive a proposito della pena di morte.[1]) Ma fortunatamente, come vedremo, c'e anche un'altra possibilita di fondare i diritti.
Quelli che affermano la dignita in quanto base dei diritti, di solito argomentano - piu o meno - nel modo seguente. Scelgono un tratto o parecchi tratti distintivi dell'uomo, dicono che questi sono valori intrinsechi e che cosi anche i loro soggetti hanno un valore per sé, cioe una dignita da rispettare, che e assoluta, inalienabile, indipendente dai loro meriti, la quale non si puo perdere, e a causa di questa dignita i soggetti hanno anche dei diritti.
Pero si presentano qui delle difficolta. La prima n'e, subito all'inizio, il problema "is - ought", "essere - dover essere", a causa del quale e quasi un dogma che oggi non e piu possibile elaborare alcuna etica normativa in senso tradizionale. Se c'e un abisso fra fatti e valori, non possiamo dedurre nemmeno il valore dell'uomo o dei suoi tratti distintivi.
Un'altra difficolta sorge nella scelta dei tratti distintivi che poi serviranno di base per la dignita. Qui il problema principale e che i tratti distintivi potenziali il piu spesso proposti (la ragione e la liberta) non sono presenti manifestamente in tutti i membri della specie umana. Pensiamo ai casi ben conosciuti e frequentemente discussi dei feti, neonati, comatosi, dementi ecc. Se, invece, volendo risolvere questi problemi, cerchiamo un tratto presente in ogni essere umano, per esempio la capacita di sentire
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dolore e diletto, allora tutti i tratti possibili, tenuti per rilevanti, caratterizzano anche molti animali, i quali cosi dovrebbero essere accolti nella nostra comunita morale, il che farebbe sorgere dei problemi pratici irrisolubili (per esempio quello dei diritti animali).
Queste due difficolta sono ben conosciute, ma c'e ne anche una terza. Supposto che la scelta dei tratti e il riconoscimento del loro valore oggettivo siano possibili e risolti, che significa esattamente il "rispetto" dovuto a questi tratti e al loro soggetto? Come si traduce questo rispetto in diritti concreti? Che significa nella pratica?
Forse sembrerebbe evidente la risposta sequente: "Rispettare qualcuno significa anzitutto che non gli faccio male nel senso quotidiano." E, senza dubbio, oggi molti pensano cosi, per esempio quando protestano contro la pena di morte in nome del rispetto della dignita umana. Ma ricordiamoci un po' dell'opinione di Hegel! Secondo lui la pena (compresa anche quella di morte) esprime il rispetto al delinquente![2] Lo riconosciamo come soggetto libero, responsabile delle sue proprie azioni, lo "prendiamo sul serio" quando lo condanniamo! Cosi egli e onorato! Cioe: l'esecuzione della pena di morte puo essere anche un atto di rispetto verso la dignita umana!
O vediamo un altro esempio! Quando si discute sull'ammissibilita giuridica della prostituzione, alcuni dicono che bisogna proibirla, perché offende la dignita umana della donna se vende il suo corpo come una merce. Altri invece dicono che bisogna permettere la prostituzione, perché la dignita umana della donna sara offesa proprio dalla limitazione paternalistica della sua liberta nella scelta della forma di vita che le piace.
Forse vediamo le cose meglio, se cerchiamo degli esempi concreti del fondamento della dignita: esaminiamo alcuni attributi umani che di solito vengono nominati come base della dignita, essendo valori in se stessi. Vediamo la capacita di conoscere e la liberta!
Se dico che l'uomo e capace di conoscere e che questo fatto ha un valore in sé, come posso esprimere quest'apprezzamento nel mio proprio comportamento di fronte a quest'attributo? Sembra logico che prima di tutto devo assicurarne l'esistenza. Va bene, ma da questo non provengono necessariamente alcuni diritti! Un uomo sano ha questa capacita anche se e completamente privato dei diritti, anzi, puo anche usarla. Anche uno schiavo ha dei sensi, puo fare delle astrazioni, ed elabora continuamente le informazioni ricevute dal mondo esterno. Quanto all'esistenza del soggetto di questa capacita: anch'essa puo essere assicurata senza l'uso di diritti (come si vede anche dall'esempio dello schiavo sopraddetto).
Ma vediamo, che c'e se aggiungiamo che il vero rispetto della capacita di conoscere e la promozione del suo uso corretto (corrispondente alla sua funzione naturale): cosi lo scopo sarebbe la conoscenza piu estesa e piu vera possibile del mondo. Pero, anche questo scopo puo essere raggiunto senza diritti: i soggetti possono avere il dovere di insegnare l'uno l'altro, e/o il dovere di acquistare delle conoscenze, ed e ben concepibile un sistema di doveri cosi complesso il quale non lascia nessuno spazio libero per i diritti.
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Ebbene, vediamo piuttosto la liberta! Al primo sguardo questo caso sembra piu semplice: se rispetto la liberta, devo lasciare l'altro agire liberamente, cioe devo dargli diritto di fare quello che vuole, almeno da certi punti di vista! Pero non precipitiamo la risposta! Non dimentichiamo la differenza fra la "libertas physica" e la "libertas moralis", cioe fra la possibilita fisica di fare o non fare qualcosa e la liceita di certe cose, la possibilita morale (il "permesso") di fare gli atti leciti. Quello che troviamo nell'uomo come una peculiarita umana, fondamento potenziale della sua dignita, e la "libertas physica", o, piu concretamente, la "libertas a necessitate", la "libertas arbitrii" (distinta dalla "libertas a coactione" che e l'altra specie della "libertas physica"). I diritti (sia quelli morali che quelli legali), invece, appartengono alla sfera della "libertas moralis". Quello che dobbiamo fondare, e dunque proprio quest'ultima, e la base, dalla quale partiamo adesso, e quello che e dato con l'uomo: la "libertas arbitrii", la capacita di fare delle decisioni alternative.
Quali diritti provengono necessariamente dal valore riconosciuto di questa liberta? Se la riconoscenza significa semplicemente l'approvazione dell'esistenza della liberta, i diritti non sono indispensabili, anzi, si riesce anche senza la "libertas a coactione": l'uomo puo fare degli atti di volonta interni anche se tutto gli e proibito moralmente e legalmente, anzi, anche se e incarcerato o ha le mani e i piedi legati.
Ma supponiamo che abbiamo potuto superare anche queste difficolta, in qualche modo misterioso siamo arrivati all'esistenza dimostrabile di una dignita umana, base dei diritti, la quale non puo perdersi ed e indipendente dai meriti del suo soggetto, essendo "iscritto" semplicemente in ogni persona umana. Questa dignita comune richiede, secondo parecchi autori, un trattamento uguale per tutti i soggetti della dignita. Ma la pratica di un trattamento uguale di tutti, indipendentemente dai meriti, fondato unicamente sulla dignita sembra irrealizzabile. Se tutti abbiamo la stessa dignita e cosi abbiamo anche il diritto di essere trattati ugualmente, nonostante le differenze dei meriti, questo diritto sara necessariamente violato quando vogliamo frenare un violatore di questo stesso diritto o applicare una sanzione contro di lui! Se, invece, rinunciamo a frenarlo o alla sanzione, allora il diritto diviene illusorio, perché qualunque persona puo violarlo senza consequenze. Vediamo un esempio! Vado di notte sulla strada e vedo un aggressore ingiusto che sta attaccando un innocente. Se aiuto a quest'ultimo, faccio una discriminazione secondo i meriti, perché preferisco l'innocente all'aggressore. Se invece resto passivo, lascio che l'aggressore violi la regola del trattamento uguale, preferendo se stesso alla sua vittima, il diritto della quale diviene cosi illusorio, perché non puo nessuno difenderla senza violare il diritto dell'aggressore, e anche questa violazione e proibita, perché quest'ultimo pure ha i suoi diritti fondati sulla sua dignita indipendente dai meriti.
Se cosi la fondazione dei diritti partendo dalla dignita sembra impossibile, vediamo le altre soluzioni solite! Dal momento che la dignita come valore in sé non si puo venire usata, possiamo cercare un altro valore, il rispetto del quale richiede quello della dignita personale e i diritti corrispondenti, cioe questi ultimi e la dignita, benche non siano valori fondamentali, saranno almeno valori strumentali. Cosi, al posto della fondazione sulla dignita arriviamo a un conseguenzialismo (o teleologismo) in senso latissimo. Quest'ultimo qui comprende non soltanto l'utilitarismo, l'edonismo classico
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ecc., ma tutte le teorie che accettano un valore fondamentale differente dalla dignita inerente, e per le quali la morale costituisce lo strumento per realizzare, mantenere, promuovere ecc. questo valore riconosciuto. Dunque il valore scelto puo essere per esempio un modello sociale, la formazione di un personaggio con certe virtu, lo sviluppo culturale dell'umanita ecc. Cosi bisogna esaminare, che tipo di conseguenzialismo richiede secondo la sua propria logica il rispetto dei diritti come elementi richiesti dalla realizzazione del valore scelto fondamentale. Poi c'e una terza possibilita, il contrattualismo, parimenti in senso latissimo. Qui non troviamo alcun valore superiore fondato razionalmente: ne la dignita personale, ne un altro valore, riconosciuto dal conseguenzialismo in senso da me accettato, (o, per meglio dire, tali valori non hanno un ruolo necessario, decisivo, inevitabile in ogni caso di questo tipo d'argomentazione); c'e invece qualche ragionamento, qualche processo mentale (o anche esterno, in particolare un processo conducente a un contratto sia puramente imaginario che reputato reale, successo nel passato storico), necessario ed inevitablie in senso prudenziale[3] e/o logico, che costringe l'individuo a comportarsi come se ogni individuo avesse un valore per sé e i diritti corrispondenti, il che conduce alla formulazione della norma del rispetto reciproco degli interessi. La fondazione dei diritti sulla dignita e il contrattualismo hanno un tratto importante comune: in ambedue concezioni il rispetto uguale ai soggetti (il quale praticamente si manifesta nel rispetto dei diritti) e il dovere morale fondamentale, senza riguardo alle conseguenze. Queste due concezioni insieme corrispondono piu o meno al deontologismo in senso solito, almeno in rapporto ai diritti.
(Qui classifico i metodi possibili, facendo astrazione dalla forma della loro realizzazione nei casi dei autori concreti; da questi ultimi troviamo naturalmente dei casi misti; possono darsi, per esempio, autori, secondo i quali le persone aventi gia la dignita arrivano a una specie di regola d'oro come formula del rispetto mutuo della loro dignita, o, vice versa, autori che attribuiscono la dignita all'uomo proprio in correlazione con la sua capacita di riconoscere e far funzionare il sopraddetto processo conducente al contratto e/o alla formulazione di una regola morale universale. Kant puo essere un buon esempio di questa mistura. Del resto, la formulazione dell'imperativo categorico di Kant non appartiene immediatamente al contrattualismo in senso qui usato, perché, come e noto, lui fonda cosi il dovere dell'uomo e non i suoi diritti; pero, la sua teoria e facilmente trasformabile in fondazione di diritti.[4])
Oltre ai tre tipi sopraddetti di fondazione dei diritti (cioe il conseguenzialismo, il contrattualismo ed il metodo usante la dignita,)[5] ci sono delle possibilita in qualche
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senso fideiste o irrazionali, accettanti qualche autorita senza argomentazione ulteriore. L'autorita in questione puo essere divina o umana. Quest'ultima ha delle diverse specie: diritto positivo, tradizione, istituzioni, consenso ecc.
Poi troviamo il tipo intuizionistico, secondo il quale l'esistenza dei diritti e un'evidenza o una verita conosciuta tramite un'intuizione immediata.
Infine ci sono alcuni tipi per cosi dire condizionali o "parassitici" che presuppongono gia l'esistenza di certi altri tipi di fondazione o proprio l'esistenza di certi diritti per derivarne un diritto nuovo. Quest'ultimo tipo e rappresentato, per esempio, da un articolo di Hart[6], dove l'autore scrive che se abbiamo diritti differenti, allora e sicuro che abbiamo anche il diritto alla liberta. Il caso piu famoso del primo tipo, cioe del metodo presupponente altri metodi, e forse la redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani di 1948, quando, secondo Jacques Maritain (uno dei redattori del testo) mancava il consenso quanto alla fondazione teoretica dei diritti (dal momento che fra i partecipanti c'erano cristiani, fedeli delle altre religioni ed anche atei), mentre tutti accettavano certi valori morali comuni, compresi anche i diritti umani. Cosi si e formata qualcosa simile al posteriore "consenso per intersezione" (overlapping consensus) rawlsiano: la pratica morale comune era accettata, ma ognuno dei partecipanti la giustificava secondo la sua propria religione o filosofia ecc.[7]
E intera questa classificazione? Io penso cosi. Forse ci saranno dei critici rilevanti la mancanza delle teorie che basano i diritti sui bisogni o interessi. Ma in realta la nozione del diritto come tale gia comprende il momento dell'interesse o del bisogno, perché presuppone una pretesa dalla parte del soggetto, e la pretesa non esiste senza interessi e bisogni, cioe il diritto come tale in ogni tipo d'argomentazione implica l'esistenza dei bisogni ed interessi. Cosi il riferimento ai bisogni o interessi non costituisce un tipo particolare d'argomentazione, invece puo presentarsi in tutti i tre primi tipi sopraddetti. Possono darsi autori chi dicono che proprio i bisogni o gli interessi costituiscono le proprieta speciali che fondano il valore della persona umana (o di qualsiasi essere vivente, perché fra gli ecologisti troviamo anche autori rappresentanti questa opinione!)[8], e allora si tratta di una fondazione sulla dignita. Poi troviamo quelli dicenti che la presenza di bisogni ed interessi rende il soggetto capace di sentire diletto e dolore, e cosi arriviamo a un tipo d'utilitarismo o edonismo, classificabile fra i tipi del conseguenzialismo. Infine ci sono quelli, secondo i quali l'esistenza di una moltitudine di individui egoisti con i propri bisogni ed interessi rende necessaria la regolazione della loro coesistenza, e allora si costituisce un caso del contrattualismo.
O forse manca dal mio sistema la fondazione secondo la legge naturale? Ma anche quest'ultima puo appartenere a dei tipi diversi nella mia classificazione! Se qualcuno
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privilegia un tratto della natura umana il quale e presente in ogni individuo, e lo rende il fondamento dei diritti, allora riceviamo il tipo usante il concetto della dignita. Se, invece, un autore preferisce un ideale sociale o individuale da realizzare, corrispondente alla natura umana, e le regole morali servono quest'ideale, circoscrivendo anche i diritti, allora si tratta del conseguenzialismo. E se viene accentuato l'egoismo umano naturale, e l'uomo e concepito anzitutto come individuo, senza rispetto alla sua natura sociale, allora quest'imagine della nostra natura puo condurre al contrattualismo.
Ebbene, cosi, supposto che abbiamo una classificazione completa, vediamo, uno per uno, i tipi sopraddetti!
Escludiamo subito l'intuizione e l'evidenza, perché son troppo soggettive, incomunicabili, incontrollabili, sfavorevoli per la possibilita di un'argomentazione accettabile per tutti.
Il tipo primo della sopraddetta specie "parassitica", rappresentato qui da Hart, adesso non ci interessa, perché presuppone gia certi diritti, noi invece cerchiamo il metodo di giustificare tutti i diritti, anche quelli differenti dal diritto alla liberta.
Quanto al "consenso per intersezione", rappresentato, oltre a Maritain e ai suoi coredattori di 1948, anche da molti altri, per esempio da Hans Küng, nel suo movimento per il "Weltethos"[9], esso presuppone un consenso de facto su tutte le norme necessarie, tutti i diritti umani. Ma questo consenso, come e noto, non esiste. Per non dire che un solo esempio: l'uguaglianza dell'uomo e della donna, valore importante per l'Occidente, non si puo venire dedotta da ciascuna religione. Se le diverse concezioni del mondo sono considerati uguali, e non c'e una scala razionale neutra (cioe una vera argomentazione teorica in senso stretto) per paragonarle, non si puo convincere quelli che non accettano certi diritti occidentali.
Cioe, questo tipo d'argomentazione e esposto alla contingenza storica formante il contenuto delle diverse concezioni del mondo. E poco probabile che una volta per caso si costituisce un consenso totale pratico, per quanto riguarda i diritti concreti, mentre sul piano della loro giustificazione teorica rimane la differenza fra le diverse religioni, filosofie ecc. Ma, allora, non dovremmo forse cercare almeno il minimum comune delle norme morali? Ebbene, supponiamo che esistono tre diverse concezioni del mondo: X, Y e Z. X accetta i valori A, B e C, mentre Y accetta A, B e D, infine Z accetta A, C e D. Il minimum comune e dunque la norma A. Che significa "trovare A come minimum comune"? Che vantaggio ne consegue? Infine, i seguaci di nessuna delle tre concezioni possono essere contenti di questo risultato! Ognuno riceve soltanto il riconoscimento comune di un terzo delle norme che per lui sono tutte necessarie secondo la sua propria convinzione sincera! E che risultato pratico proviene dalla costatazione di questo minimum? Se il risultato non e che questa mera costatazione stessa, che cosa cambia? Tutti vivono come finora, seguendo le loro proprie norme giustificate alla loro propria maniera teorica. Oppure da ora in poi sara obbligatorio per tutto il mondo soltanto questo minimum? Ma allora - dal momento che secondo il principio scelto di questo processo ognuno deve giustificare la sua pratica morale secondo i suoi propri fondamenti teorici - come puo il seguace di X
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giustificare la sua rinuncia ai valori B e C, mentre secondo la sua concezione queste non sono meno obbligatorie del valore A? E, naturalmente, la stessa domanda si pone ai seguaci di Y a proposito di B e D, ed a quelli di Z quanto a C e D!
Ebbene, vediamo piuttosto la fondazione usante il riferimento a un'autorita! Oggi pochi vogliono giustificare i diritti riferendosi a Dio. Se il riferimento si basa sulla mera fede, naturalmente e inaccettabile per tutti non appartenenti alla religione del riferente in questione. Se invece si basa sulla legge naturale divina nel senso classico, cioe su una legge riconoscibile dalla ragione, allora secondo la nostra classificazione si tratta di un tipo di fondazione il quale appartiene a una delle tre specie veramente argomentanti in senso stretto: al conseguenzialismo, al contrattualismo o al tipo di fondazione sulla dignita.
Ma che diciamo di quelli due documenti famosi che secondo un'opinione abbastanza frequente sono fra gli esempi piu conosciuti di questo tipo d'argomentazione? Penso alla Dichiarazione d'Indipendenza americana e alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino francese. Ebbene, la prima non si riferisce alla Rivelazione, cioe non deriva dalla parola di Dio il fatto che abbiamo diritti, invece dice semplicemente che siamo creati da Lui con diritti, ma quest'ultimo fatto (cioe il fatto della creazione con diritti) e per gli autori un'evidenza naturale e non una verita rivelata. La sorgente dell'informazione sui diritti non e, dunque, divina. Quanto al documento francese di 1789, possiamo dirne quasi lo stesso. Il testo non deduce i diritti dalle parole dell'Essere Supremo, quest'ultimo e soltanto una specie di garanzia scura e vaga, mentre l'esistenza dei diritti sembra anche qui un'evidenza naturale.
Quanto all'autorita del diritto positivo o delle istituzioni: anche questa puo venire esclusa, dal momento che appartiene alla sfera delle leggi positive - storicamente variabili - dei paesi concreti, mentre i diritti umani sono gli elementi di un sistema morale il quale e per definitionem oltre quella sfera, e universale ed in qualche senso sovrastorica.
L'accettabilita di un'altra autorita, quella della tradizione (o del consenso locale di una certa civilizzazione), e un pensiero molto piu popolare, in particolare nel mondo attuale "postmoderno", nemico delle verita assolute, univesalmente valide. Ci sono parecchi autori attuali chi favoriscono un "etnocentrismo" dichiarato, dicendo che i diritti devono essere accettati semplicemente come elementi essenziali della nostra tradizione occidentale, senza una fondazione teoretica, la quale e, del resto, impossibile.
Uno dei rappresentanti piu importanti di questa tendenza e Richard Rorty. Secondo lui nel caso dei diritti umani il "fondazionalismo", cioe la pretesa alla loro fondazione razionale (human rights foundationalism) e gia "fuori moda" (outmoded)[10]. Non possiamo trovare il tipo di sapere che i filosofi "fondazionalisti" (per esempio Platone, San Tommaso d'Aquino o Kant) cercavano per fondare un sistema di valori universalmente valido, difendibile con argomentazione razionale, perché un tale sapere non esiste[11]. Pero, nello stesso tempo, la democrazia liberale e
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il rispetto dei diritti umani sono diventati le parti integranti della tradizione occidentale, sono accettati dall'opinione pubblica. Cosi il nostro compito non e la difesa di questi diritt con argomenti razionali; dobbiamo, piuttosto, da una parte conservare l'evidenza della loro validita nella coscienza di ciascuna generazione nuova, tramite una cosidetta "educazione sentimentale" (sentimental education), cioe "manipolando i sentimenti" (manipulating sentiments)[12], dall'altra parte popolarizzare questi valori in tutto il mondo, con gli stessi mezzi, rafforzando e globalizzando cosi la nostra cultura rispettante i diritti umani[13], la quale, secondo Rorty, e superiore alle altre[14].
Ebbene, e vero che la manipolazione viene spesso applicata con successo, ma il mero fatto di questo successo in sé non dimostra la bonta della convinzione morale accettata sotto l'influenza di un tale mezzo. Se non abbiamo dei argomenti razionali e di una misura morale fondata razionalmente, sulla base della quale potremmo affermare la superiorita reale della cultura occidentale, rispettante i diritti umani, allora come possiamo giustificare la nostra intenzione di popolarizzare proprio questa cultura? E insufficiente rispondere: "Perché e la nostra cultura!" Il riferimento alla mera tradizione ha una certa ambiguita, tanto nei rapporti interculturali che negli affari interni della nostra propria cultura. Se l'unica base di norme e valori e per ciascuno la sua propria tradizione, allora anche le culture non occidentali possono preferire i loro propri valori ai nostri, rifiutando questi ultimi, e infine si forma una specie di "diritto del pugno" intellettuale, dove vincera quello che puo manipolare meglio gli altri; anzi, non si puo escludere nemmeno il "diritto del pugno" in senso stretto, perché se non ci sono norme di valore oggettivo, e per ogni cultura e l'autorita superiore il suo proprio sistema morale, allora chi o che cosa impedisce le altre culture di usare anche violenza aperta l'una contro l'altra, o anche contro di noi, se il loro proprio sistema permette o prescrive tali mezzi? Dall'altro lato: benché adesso l'Occidente accetta i diritti umani e tutto il sistema di valori della democrazia liberale, questa situazione e dovuta a uno sviluppo storico spontaneo. La democrazia liberale non e la tradizione occidentale, il nostro sistema eterno. E un prodotto storico la cui vittoria era alla stessa volta la sconfitta di un sistema anteriore. Chissa se non si ripeta una volta la storia, e non venga un nuovo sistema, non liberale, non rispettante i diritti umani? Allora dovremo accettare quello, in nome dell'onnipotenza della tradizione data dell'epoca?[15] Oppure dobbiamo prevenire a questa possibilita, manipolando l'opinione pubblica attuale, impedendo la formazione delle convinzioni non liberali? Ma questa manipolazione non offenderebbe proprio i valori liberali, in particolare la liberta di parola?
Ebbene, allora vediamo le maniere della fondazione dei diritti le quali sono veramente argomentative e razionali nel senso stretto!
Il metodo di fondazione sulla dignita era gia esaminato e trovato insufficiente nella prima sezione del testo presente.
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Anche il contrattualismo ha delle difficolta. Vediamo prima il tipo dove per ogni indiviuo esiste una necessita pratica, prudenziale d'attribuire diritti a tutti gli altri. Secondo L. W. Sumner[16] ci sono due situazioni iniziali possibili prima del contratto: una e "moralizzata" (moralized), l'altra e "non-moralizzata" (non-moralized). Nel primo caso gia prima del contratto esistono certe norme morali riconosciute dai contraenti, nel secondo caso, invece, tutte le norme saranno i risultati del contratto, dunque i contraenti prima del contratto non hanno nessun dovere morale. Nel primo caso si puo domandare: che cosa costringe i contraenti al rispetto del contratto e delle norme prescritte da quest'ultimo? Prima del contratto vivono nello stato di "bellum omnium contra omnes" hobbesiano, dove tutto e loro permesso per difendersi, comprese anche la violenza e la frode (dal momento che ancora non esistono norme valide). Perché non possano considerare anche il contratto come una frode fra le altre, usate liberamente fino allora? Se siamo ancora nello "stato di natura", non abbiamo ancora delle norme, allora, quando offro agli altri il contratto, niente non mi costringe a mantenerlo. Posso farlo con l'intenzione segreta di non rispettarlo, perché ancora non c'e niente che mi obblighi a rispettarlo. Che cosa lo distinguerebbe dagli altri contratti fatti prima come fraudi, corrispondenti alla regola - o, per meglio dire, all'assenza della regola - che caratterizza lo "stato di natura"? Che cosa cambia nel momento della "firma" del contratto? Nulla, se il mio punto di vista e quello dell'uomo esistente nello "stato di natura". Il contratto e il suo contenuto sono semplicemente subordinati alla mia tattica amorale. E se la mia intenzione era fare un contratto come mezzo per il mio egoismo, che cosa mi farebbe passare dallo stato "non-moralizzato" a quello "moralizzato"? Potremmo dire anche cosi: il mio animo avuto nello stato "non-moralizzato" rimane la "metateoria" delle norme accettate (in apparenza) dello stato "moralizzato", esse sono subordinate a quell'animo, sono i suoi mezzi di manipolazione. Non sono costretto a prenderli sul serio. Cioe: cosi, da uno stato "non-moralizzato" non possiamo arrivare alle norme valide (comprese quelle prescriventi i diritti).
L'opinione di David Gauthier, secondo la quale gia anche prima del contratto puo pensare il contraente che sta nel suo interesse l'astensione da migliorare la sua propria posizione a costo di peggiorare quella degli altri, e cosi e motivato gia al rispetto dei loro interessi, puo essere rifiutata dicendo che questo puo essere vero nel caso di ogni indivduo soltanto se anche gli altri pensano cosi in numero sufficiente, il che non e mica garantito[17]. Per usare dei concetti di teoria dei giochi: nel caso della cooperazione di tutti sono tutti capitati meglio che nel caso della cooperazione di nessuno. Ma alcuni, sperando che la maggioranza cooperera, pensano che sia ancora piu vantaggioso per loro la "diserzione", cioe l'astensione totale dalla cooperazione, perché cosi avranno parte nei vantaggi della cooperazione degli altri senza addossarsi gli oneri di quest'ultima. Cosi proprio la preferenza dei loro propri interessi li motivera a migliorare la loro propria posizione a costo di peggiorare quella degli altri. E se molti pensano cosi, confidando nella cooperazione sicura degli altri, allora infine
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cooperera soltanto una minoranza, o nessuno affatto, e cosi tutti saranno capitati peggio che nel caso della cooperazione di tutti.
Ma vediamo l'altra possibilita, la situazione iniziale "moralizzata"! Qui i contraenti possono - anzi, devono - fare il patto con l'intenzione sincera di rispettarlo, dal momento che le norme morali sono gia valide. Ma in questo caso le norme non provengono dal patto stesso. Ma, allora, da dove provengono? Cosi non possiamo spiegare l'origine delle norme con il contratto, perché quest'ultimo gia le presuppone. Naturalmente possiamo cercare qualche sorgente di norme ulteriore, ma quella non sara piu il contratto stesso. Cioe: il contratto sembra inadatto ad essere una sorgente unica e fondamentale delle norme (comprese quelle determinanti i diritti).
Un esempio tipico della situazione iniziale "non-moralizzata" puo essere lo "stato di natura" hobbesiano, mentre quella "moralizzata" viene spesso illustrato con il modello proposto da Rawls nel suo libro famoso Una teoria della giustizia[18]. Qui i contraenti riconoscono gia prima del patto l'equita (fairness), la quale, dunque, non puo provenire dal contratto stesso. Riferendo a questo fatto Dworkin pensa che la concezione di Rawls presuppone gia il diritto fondamentale degli individui a "eguale considerazione e rispetto" (equal concern and respect)[19]. (Ma possiamo citare, naturalmente, anche il caso di Locke.)
Finora abbiamo parlato del contrattualismo in senso stretto, dove - secondo l'intenzione degli autori in questione - per ogni contraente c'e una necessita prudenziale di fare il patto e attribuire diritti agli altri. Ma c'e un'altra variante, dove troviamo piuttosto una necessita logica: l'individuo e costretto ad accettare i diritti degli altri perché altrimenti contraddice a se stesso. L'esempio ne puo essere la teoria di Alan Gewirth, appartenente al contrattualismo in senso piu largo.[20] Secondo lui le precondizioni dell'attivita teleologica e razionale umana sono la liberta (freedom) ed il benessere (well-being). Dalla proposizione "X e necessario per A" ancora non si puo concludere che "A ha il diritto a X", ma il passo seguente e che ci mettiamo al posto dell'agente stesso (A). Se guardiamo cosi, allora, secondo Gewirth, la frase "La mia liberta e il mio benessere sono per me dei beni necessari (necessary goods)" non e piu una mera costatazione di un fatto, perché posso dirla anche cosi: "Devo avere (I must have) liberta e benessere". La frase cosi e gia prescrittiva, e allora e chiaro -almeno per Gewirth - che ne consegue logicamente la proposizione "Ho diritto alla liberta e al benessere". E se comprendo che io pretendo i diritti in questione per me in quanto sono un agente razionale e teleologico, allora, per evitare la contraddizione, devo riconoscere che l'attivita razionale e teleologica e il fondamento sufficiente di questi diritti, cioe questi ultimi spettano a tutti agenti razionali e teleologici.
Ma, in realta, la situazione iniziale di Gewirth rassomiglia molto a quella "non-moralizzata" gia menzionata. I suoi agenti, come Martin M. Golding scrive, sono
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prudenzialisti ed egoisti, "amoralisti razionali", cosi non usano le parole "diritto", "dovere", "obbligazione" ecc. L'amoralista, secondo Golding, puo avere delle richieste (demands), puo esprimere quello che vuole, ma questo non puo essere nominato ancora rivendicazione di un diritto (claim). I propri atti di volonta dell'agente non saranno prescrittivi per altri, seppure ci mettessimo al suo punto di vista soggettivo.[21] Se Golding ha ragione, cioe se il mio mero bisogno o la mia mera volonta in sé non costituisce una sorgente di diritti nemmeno per me stesso, allora qui gli individui rimangono semplicemente esseri amorali seguenti i loro propri interessi, e, come nel caso anteriore, anche qui e impossibile uscire dallo stato primitivo hobbesiano.
Cosi ci rimane soltanto il conseguenzialismo. La sua forma piu conosciuta e l'utilitarismo, il quale, come e noto, sembra poco adatto a fondare i diritti umani. (Ricordiamoci all'opinione di Bentham sull'assurdita della nozione dei diritti naturali.[22]) Poi ci sono le diverse difficolta ben conosciute teoriche, anzitutto l'impossibilita della calcolazione esatta del diletto e del dolore, la differenza qualitativa fra le loro specie, le discussioni sull'estensione del cerchio degli esseri viventi, la gioia e il dolore dei quali sono da considerare ecc. Per questo, e a causa dei limiti dello spazio adesso mi astengo dalla critica dettagliata dell'utilitarismo. Ma forse la difficolta fondamentale di qualsiasi forma del conseguenzialismo (sia utilitarista che non utilitarista) e il problema "essere - dover essere" gia menzionato a proposito della dignita. A causa dell'abisso fra fatti e valori non soltanto la fondazione razionale immediata del valore della dignita personale o dei suoi diritti sembra impossibile, ma anche quella mediata, nel caso della quale abbiamo prima un valore differente dalla dignita stessa (o dai diritti ne implicati), e poi dimostriamo che i seguaci conseguenti di quest'ultimo valore devono rispettare i diritti come mezzi.
Pero, c'e una specie di gerarchia oggetiva ontologicamente fondata tra i valori possibili: l'esistenza del rispetto di qualsiasi valore richiede l'esistenza della societa, per di piu un'esistenza veramente umana - differente da una vita puramente vegetativa -, cioe un mondo dove sono presenti diverse virtu rendendo possibile una ricchezza di bisogni ed attivita specificamente umani, compresa anche l'atto di scegliere dai valori come tali. Se qualcuno apprezza questa possibilita di scegliere stessa o qualsiasi valore concreto, deve apprezzare anche la loro precondizione ontologica: l'esistenza continua della societa umana, rendente possibile la formazione storica della ricchezza attuale di bisogni e attivita umani.[23] Cosi l'esistenza continua storica della natura umana e in qualche senso privilegiata fra i differenti valori potenziali. (Anche quelli che vogliono la dignita, devono volere prima l'esistenza sopraddetta, ma cosi quest'ultima subito limita i diritti eventualmente provenienti dalla dignita.) Questo e vero in un certo senso anche nel caso di quelli che scelgono
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un valore seguibile senza l'esistenza ulteriore dell'umanita, o vogliono proprio annientarla, perché anche il loro comportamento presuppone il processo storico fino al tempo presente, anche loro sono i "prodotti accessori" della cultura umana. E vero che questo e per loro soltanto un fatto, dal quale per loro non segue necessariamente che devano contribuire all'esistenza dell'umanita anche nel futuro. (A causa dell'abisso tra "essere" e "dover essere" non abbiamo un metodo sicuro per convincerli.[24]) Ma la loro esistenza qui puo venire messa tra parentesi. Le vere discussioni sui diritti, e generalmente sugli ideali sociali si svolgono fra teoretici per la maggioranza prevalente dei quali e evidente la necessita di conservare la continuita storica della societa umana; lo scopo di una tale discussione, come Hart scrive, e "un arrangiamento sociale per l'esistenza continua (a social arrangement for continued existence) e non un club suicida (a suicide club)"[25].
Ora vediamo, come possiamo trovare il rapporto tra i diritti ed il tipo di conseguenzialismo da noi scelto (cioe quello preferente l'esistenza continua della societa veramente umana)!
Cosa vuol dire "avere dei diritti"? Ebbene, io ho un diritto al comportamento X (che puo essere sia un'azione che la possessione o la fruizione di qualcosa), se io non ho il dovere di fare non-X, e alla stessa volta ci sono altri che hanno il dovere di aiutarmi a praticare il comportamento X, almeno passivamente, cioe lasciandomi praticarlo.[26] Cioe un diritto puo venire espresso come la combinazione di doveri e d'assenze di doveri; cosi possiamo dire che la nozione del dovere precede logicamente quella del diritto.
Dunque anzitutto dobbiamo conoscere i nostri doveri. Ebbene, i precetti morali nascono dalla natura sociale dell'uomo, dalla necessita della cooperazione sia sincronica che diacronica: da un lato c'e una divisione del lavoro tra i contemporanei, dall'altro lato ogni generazione eredita oggettivazioni spirituali e materiali accumulate dai antenati della sua cultura, senza le quali non ci sarebbe storia e l'umanita vegeterebbe in un livello quasi animale. Queste oggettivazioni (comprese anche quelle spirituali, in particolare le virtu intellettuali e morali) costituiscono, insieme con la riproduzione fisica della societa (cioé la nascita delle nuove generazioni) e con le precondizioni fisiche e biologiche (sorgenti d'energia, condizioni ecologiche ecc.) il bene comune in senso lato, cioe tutto quello che é necessario per la vita continua e veramente umana nel mondo[27].
Siamo esseri sociali proprio a causa del bisogno di questa cooperazione doppia. La ragione e la liberta da sole non ci renderebbero necessariamente animali sociali. Il contenuto, nel quale si manifestano concretamente, viene fornito proprio dalla detta accumulazione culturale, la quale produce in parte una ricchezza dinamicamente crescente di diversi bisogni specificamente umani e forme di attivita a loro corrispondenti,
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in parte una conoscenza sempre piu profonda della realta e cosi un dominio razionale umano sempre piu grande sul mondo.
Data la coesistenza degli esseri umani, bisogna regolarla. Le persone devono essere difese l'una dall'altra, altrimenti ci sarebbe l'anarchia, il che renderebbe impossibile la cooperazione. Ma la morale ha anche una seconda funzione: deve assicurare la continuita della storia umana, perché l'accumulazione culturale sopraddetta (cioe la cooperazione diacronica) e - in principio - un processo infinito. A questa seconda funzione appartengono le norme regolanti la famiglia, la sessualita, l'educazione alle virtu morali e intellettuali, la difesa delle oggettivazioni gia accumulate ecc. Questa seconda funzione oggi sta cadendo in oblio nel mondo occidentale (ad eccezione dei problemi ecologici, ma anche la soluzione di questi viene spesso formulata in termini dei diritti individuali: bisogna difendere "i diritti dei membri delle future generazioni"[28]), ma tutte le altre culture presenti e passate hanno ed avevano la morale a doppia funzione.
I doveri definiti da questa morale (l'astensione dall'omicidio, dal furto, dalla menzogna, dall'adulterio ecc.) s'indirizzano direttamente sull'assicurazione dell'ordine sociale, oppure sul bene comune, (il quale, del resto, e anche la precondizione ontologica della riproduzione delle persone, soggetti di dignita e diritti), invece di essere le espressioni d'un rispetto misterioso immediato dovuto a certi tratti umani o al soggetto di questi. Se la dignita o i tratti distintivi avessero una forza misteriosa causante un rispetto effettivo, esprimentesi in regole morali, tutta l'umanita sarebbe stata sempre una comunita morale unica, perché ogni persona avrebbe sempre rispettato tutte le altre persone spontaneamente. In realta, invece, nel passato c'erano molti gruppi che escludevano dalla loro propria comunita morale gli estranei, mentre sapevano che anche questi ultimi possidevano ragione e liberta, ecc. E non usavano il concetto della dignita inalienabile nemmeno negli affari interni del gruppo in questione. Pero devo subito aggiungere che la divisione dell'umanita in comunita morali particolari, mutualmente nemiche l'una all'altra, non corrisponde alla nostra vera natura. L'ideale e la formazione di una sola comunita morale mondiale. Lo stato di guerra continuo minaccia le oggettivazioni gia accumulate e impedisce la cooperazione, lo scambio d'esperienza tra i popoli, e cosi frena il processo menzionato della moltiplicazione di attivita specificamente umane e del crescimento del dominio umano razionale sul mondo. Questa comunita morale mondiale si realizza lentamente, nel corso di un lungo processo storico. Pero possiamo dire ch'essa appartiene alla legge naturale sovrastorica. Questo paradosso apparente si risolve se usiamo il pensiero di Maritain che distingue l'aspetto ontologico e quello epistemologico della legge naturale: da un lato le sue norme considerate in se stessi sono valide dal principio del mondo (cioe e sempre vero che per esempio la comunita morale mondiale conviene meglio alla nostra natura che la divisione in comunita morali particolari), dall'altro lato, invece, il riconoscimento della legge naturale e un processo storico.[29]
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Certo, come ho gia accennato sopra, anche il modo qui sopra descritto di fondare i doveri (e, se vogliamo, tramite questi anche i diritti)[30] e esposto alla critica di quelli che, riferendosi al sopraddetto problema "essere - dover essere", negano la possibilita di qualsiasi etica normativa. Pero il nostro sistema puo essere considerato come un imperativo ipotetico molto complesso. Diciamo: "La societa umana funziona cosi e cosi. Questo e un fatto, oggetto di mera descrizione. Quest'ultima contiene rapporti causali tra certi comportamenti umani e la sussistenza della societa. Se questa sussistenza e un valore per te, allora devi comportarti cosi e cosi." In questo modo rimaniamo sul livello dei fatti, senza commettere lo sbaglio di dedurre valori dai fatti. E, dal momento che l'esistenza della societa e un elemento oggettivamente distinto, privilegiato nell'insieme dei oggetti possibili dell'apprezzamento umano (cioe fra i valori potenziali) perché e la precondizione fondamentale di tutte le cose umane, compresa anche la scelta di qualsiasi valore ulteriore, possiamo sperare ragionevolmente che la maggioranza dei nostri interlocutori sia d'accordo con noi, quanto all'apprezzamento della sussistenza del mondo umano.[31]
Dunque il punto di partenza dell'argomentazione deve essere l'ordine esterno e non l'individuo, perché quest'ultimo con i suoi diritti non puo esistere e praticarli in merito senza il primo. I diritti devono adattarsi ai punti di vista del bene comune e non vice versa. Oggi pero, almeno nel mondo occidentale, dimentichiamo spesso questa verita. E qui, purtroppo, anche il concetto della dignita puo avere un ruolo negativo: proprio a causa della sua oscurita, e dell'incertezza del suo rapporto esatto con i diritti, troppo spesso serve di pretesto per assolutizzare l'individuo, attribuendogli diritti funzionanti come "trionfi", "trumps", per usare l'espressione di Dworkin[32]. Se i miei diritti individuali sono veramenti "trionfi", preferibili al bene comune e limitabili soltanto in favore dei diritti di un altro individuo, questa logica puo avere delle consequenze catastrofiche. Joel Feinberg ne descrive un esempio fittivo. Se tutta l'umanita accettasse liberamente una religione che proibisce la generazione, la nostra specie fra poco estinguerebbe, ma, secondo Feinberg, dal punto di vista liberale in questo non ci sarebbe niente di male, perché ciascun membro dell'umanita userebbe semplicemente un diritto (in questo caso quello della liberta religiosa), senza violare i diritti degli altri![33] (Naturalmente qui non sono violati nemmeno i diritti degli individui delle generazioni future, perché questi individui - proprio a causa della decisione di quelli presenti - non esisteranno mai!) Se il culto dei diritti individuali permette questa possibilita, dobbiamo essere molto cauti nell'uso del concetto della dignita umana!
Forse qualcuno ripetera contro di me la solita crtitca anticonseguenzialista, secondo la quale se i diritti sono soltanto strumenti, diventano incerti, possono essere
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revocati, dal momento che sono subordinati a un valore differente da quello della persona. Questo puo essere vero nel caso di un conseguenzialismo avente uno scopo utopico, da realizzare nel futuro, per il quale bisogna sacrificare gli individui concreti durante la fase presente della storia, oppure nel caso di una variante dell'utilitarismo, per la quale importa soltanto la somma della felicita, senza rispetto alla sua divisione fra la gente. Ma bisogna vedere, che nel nostro caso non si tratta di un'ideale utopico, nemmeno di un aumento puramente quantitativo di una "felicita" edonistica. Il nostro valore e proprio il funzionamento buono della societa sia nel presente che nel futuro, e vogliamo piuttosto un certo ordinamento delle cose che un risultato misurabile. Dunque il nostro scopo richiede - tra l'altro - la sicurezza della vita, l'ordine, una certa calcolabilita delle circostanze umane ecc. per tutta la gente vivente in qualsiasi epoca, escludendo cosi l'eventuale revocazione capricciosa dei diritti. (Quello che seguiamo noi, e, dunque, un "conseguenzialismo della regola", "rule consequentialism".)
Devo aggiungere ancora una cosa importante. Benché la dignita non sia il fondamento dei diritti, e il contenuto di un diritto: ciascuno di noi ha la voglia di essere rispettato, riconosciuto, noi tutti abbiamo paura dall'umiliazione, dalla violazione dell'onore ecc. Se la funzione della morale richiede l'assicurazione della fiducia mutua e la limitazione piu grande possibile dell'aggressione e i conflitti, bisogna frenare anche l'aggressione verbale o usante qualsiasi altra forma simbolica. Il diritto alla dignita, inteso come il nostro diritto di essere difesi dall'umiliazione, e uno strumento importantissimo per l'assicurazione della coesistenza pacifica degli individui, e, tramite quest'ultima, per il bene comune!
Dunque i sopraddetti non significano un rifiuto totale della dignita umana. Anzi, quest'ultima espressione anche come sinonimo della "peculiarita della natura umana" ha un significato. Possiamo riconoscere con gioia il fatto che abbiamo certi tratti speciali, a causa dei quali siamo privilegiati fra gli esseri viventi. Quello che io nego e soltanto la fondabilita dei diritti sulla dignita umana.■
JEGYZETEK
[1] San Tommaso d'Aquino: Summa Theologica, II-II., 64., a. 2., ad 3.
[2] Hegel: Lineamenti di filosofia del diritto, §. 100.
[3] La parola "prudenziale" qui e in rapporto con la prudenza in senso moderno, cioe compresa come la virtu di un egoismo ragionevole, e non come una delle virtu cardinali classiche!
[4] Cf. John L. Mackie: Can There Be a Right-Based Moral Theory? In Jeremy Waldron (ed.): Theories of Rights, Oxford, New York, Toronto etc.: Oxford University Press, 1985, 169.
[5] Questi sono i soli metodi razionali in senso stretto; nella loro classificazione, del resto, sono stato influenzato da altri autori, per esempio da L. W. Sumner: The Moral Foundations of Right., Oxford: Clarendon Press, 1990., e da Per Sundman: Human Rights, Justification and Christian Ethics.Uppsala: Uppsala University, 1996.
[6] H. L. A. Hart: Are There Any Natural Rights? In Waldron, op. cit. 77-90.
[7] Jacques Maritain: L'Homme et l'État.Paris: Presses Universitaires de France, 1965, 69-70.
[8] Vedi, per esempio: Kenneth E. Goodpaster: On Being Morally Considerable. In Michael A. Zimmerman (ed.): Environmental Philosophy. Prentice Hall, New Jersey, 1998, 56-70. e Paul W. Taylor, The Ethics of Respect for Nature, Zimmerman op. cit. 71-86.
[9] Hans Küng: Projekt Weltethos . München - Zürich: Piper Verlag, 1991.
[10] Richard Rorty: Human Rights, Rationality and Sentimentality. In Steven Shute - Susan Hurley (eds.): On Human Rights. New York: Basic Books, 1993, 116.
[11] Rorty op. cit. 117-118.
[12] Rorty op. cit. 122.
[13] Rorty op. cit. 127.
[14] Rorty op. cit. 116.
[15] Cf. Vittorio Possenti: Le societa liberali al bivio. Genova: Marietti,1991, 293.
[16] L. W. Sumner op. cit. 109.
[17] Sumner op. cit. 160-162, cf. David Gauthier: Morals by Agreement, Oxford: Clarendon Press, 1986.
[18] Milano, Feltrinelli 1984. Edizione originale: A Theory of Justice, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1971.
[19] Ronald Dworkin: Taking Rights Seriously. Cambridge, Mass.: Harvard Univerity Press, 1978, 181.
[20] Alan Gewirth: The Basis and Content of Human Rigths. In J. Roland Pennock - John W. Chapman (eds.): Human Rights, New York - London: New York University Press, 1981, 119-147.
[21] Martin P. Golding: From Prudence to Rights. A Critique. In Pennock - Chapman op. cit. 165-174.
[22] Vedi, per esempio: The Works of Jeremy Bentham, Ed. John Bowring: Edinburgh: William Tait, 1843, vol. II. pp. 497. e 511., vol. III. p. 221, ecc.
[23] Di questo e di cio che segue vedi anche il mio articolo precedente: Zoltan Turgonyi, La legge naturale ed il bene comune, Iustum Aequum Salutare, IV. 2008/4, 83-100.
[24] Cf. Turgonyi op. cit. 97.
[25] H. L. A. Hart: The Concept of Law. Oxford: Clarendon Press, 1963, 188.
[26] Cf. Turgonyi op. cit. 98.
[27] Cf. Turgonyi op. cit. 86-87.
[28] Cf. Turgonyi op. cit. 99.
[29] Jacques Maritain: La loi naturelle ou loi non écrite. Fribourg, Suisse: Éditions Universitaires, 1986, 20 sgg, 188. - Cf. Turgonyi op. cit. 95 sgg.
[30] Un esempio concreto - la deduzione del diritto alla vita - della fondazione dei diritti tramite i doveri e le assenze di doveri si trova in Turgonyi op. cit. 98-99.
[31] Turgonyi op. cit. 97-98.
[32] Ronald Dworkin: Rights as Trumps. In Waldron op. cit. 153-167.
[33] Joel Feinberg: The Rights of Animals and Unborn Generations. In Patricia H. Werhane - A. R. Gini - David T. Ozar (eds.): Philosophical Issues in Human Rights. New York: Random House, 1986, 172.
Lábjegyzetek:
[1] A szerző primo collaboratore scientifico dell'Istituto di Filosofia dell'Academia Ungherese delle Scienze
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