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Di Paolo Heritier: Dono scambio dignita (IAS, 2010/4., 111-125. o.[1])

I. Dignita e fondamento antropologico del diritto. Un punto di partenza

Nel libro La democrazia possibile[1], il filosofo del diritto neocostituzionalista Ronald Dworkin, alla ricerca di principi condivisi volti alla costruzione di un dibattito possibile in grado di oltrepassare la radicale e sterile contrapposizione tra sinistra e destra[2] negli anni dell'intervento militare americano in Irak, configura una nozione di dignita concepita come l'unione di due concetti da considerare compatibili, o addirittura "un aspetto l'uno dell'altro"[3].

L'intento da cui egli muove e epistemologicamente corretto: egli e consapevole di non condurre un discorso neutrale, ma di parte, orientato alla difesa di determinate posizioni, anche politiche; riconosce esplicitamente che il suo intento e quello di convincere il numero piu elevato di sostenitori della parte che nutre convinzioni politiche opposte alle sue. Auspica che sostenitori delle posizioni avverse controbattano alle sue tesi, innescando un dibattito fecondo, e non quella contrapposizione sterile e vuota, che sembra a tratti affettare le contemporanee democrazie occidentali[4]. Non si trincera dunque dietro le ambiguita di un discorso perbenista condotto al di sopra delle parti e privo di un'appartenenza esplicita. E tuttavia ritiene di perseguire, al tempo stesso, un obiettivo superiore, proprio nel chiarire la diversita delle posizioni, senza far intervenire alcuna demonizzazione dell'avversario. Egli sostiene che

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"quello che dovremmo riuscire a fare e smettere di scontrarci... come se la politica fosse un corpo a corpo, e discutere invece a partire da piu profondi principi di moralita personale e politica, che tutti possiamo rispettare"[5]. Per risalire da questo piano delle convinzioni di parte a quello comune delle concezioni condivise, per trovare principi comuni sufficientemente solidi da rendere possibile un dibattito politico nazionale (americano, ma potremmo aggiungere, anche italiano o forse ungherese, europeo certamente o financo mondiale), il filosofo del diritto americano ricorre "a principi molto astratti, filosofici" concernenti il valore e le responsabilita di una vita umana[6], chiamando in causa il principio dignita.

Una prima osservazione di metodo puo essere svolta su questo punto: al di la dei valori, certo radicati nella mentalita e nella cultura americana che Dworkin esprime, questo ricorso alla dignita e legato a un accostamento opportunamente relazionale e dialogico, volto a ricercare nel diritto un fondamento antropologico, che mi pare poter oltrepassare le stesse radici culturali da cui egli muove (il sistema di valori della democrazia americana[7] e la concezione individualistica della vita).

D'altra parte, il limite di questa prospettiva si trova forse proprio nel radicamento in principi astratti e razionali, che sembrano negare quel riferimento alla concretezza dei "rapporti antropologici fondamentali" a cui egli stessa sembra rinviare, allorché chiama in causa il principio di dignita. Mi domando insomma se Dworkin non ricada nello stesso astrattismo che viene spesso rimproverato a Rawls laddove egli, costruendo la propria teoria della giustizia neocontrattualista, si riferisce a quel "fantasma" di uomo, privato di ogni caratteristica concreta che lo identifica e lo definisce (censo, sesso, doti naturali, ecc.), che e l'individuo posto sotto il "velo di ignoranza" nella "posizione originaria", equivalente allo stato di natura del giusnaturalismo classico[8]. Se l'astrattismo rawlsiano nel pensare l'umano e evidente, mi sembra tuttavia che anche l'astrattismo dei principi di Dworkin (e forse piu in generale dell'accostamento neocostituzionalista) costituisca un limite preciso al completo riconoscimento del fondamento relazionale e antropologico del giuridico e dell'istituzionale[9]. La dimensione giuridico-razionale prevalente e il quadro positivistico soggiacente alla cultura dei diritti umani proprio anche del neocostituzionalismo non appare sufficiente, a mio avviso, a dare spazio a un'idea di giustizia concepita in senso antropologico.

E tuttavia e assai interessante che Dworkin, nel momento in cui si pone il problema del fondamento comune del giuridico, chiami in causa il principio dignita considerandolo l'elemento in grado di tenere insieme principi astratti diversi. Quasi

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per sostenere, mi sembra, che il tema della dignita, nella difficolta di precisarne univocamente la dimensione giuridica positiva[10], mostri tutti i limiti propri della teoria giuspositivista nell'intendere il problema del fondamento del diritto[11].

In questo senso cerchero nell'articolo di indicare alcune possibili direzioni per avviare una ricerca volta a individuare un fondamento antropologico alla nozione giuridica di dignita, rinviando ad alcune concrete modalita di relazione antropologica, quali il dono e lo scambio, ritenute in grado di caratterizzare il proprio del principio dignita considerato nel suo valore antropologico.

Torniamo pero al filosofo del diritto e al modo in cui egli configura i due principi che chiamano in causa la nozione di dignita, pensati in conformita con il sistema di valori che regge la costituzione americana.

La prima dimensione della dignita e definita "il principio di valore intrinseco", vale a dire l'idea che ogni vita umana abbia un suo particolare valore intrinseco, in quanto potenzialita. Una volta iniziata, non e socialmente, oltre che individualmente, indifferente in modo in cui essa si sviluppa: il fatto che sia portata a compimento raggiungendo i fini individuali che si propone o invece fallisca sprecando il suo potenziale e un elemento di interesse oggettivo e non solo appartenente a colui che ne e il soggetto protagonista[12]. La formulazione e la condivisione di questo primo principio ha quindi una serie di implicazioni, tra le quali il poter essere condiviso anche da coloro che hanno come obiettivo una esistenza meramente edonistica e, secondo, il non attribuire alla propria vita maggiore importanza di quella di qualsiasi altra. In altre parole, senza ancora rappresentare il requisito di una vita moralmente buona - elemento che difficilmente puo essere condiviso da tutti e comunque puo essere inteso in modi molto diversi, se non antitetici - esso si avvicina al principio di uguaglianza, che di fatto fonda, sulla base dell'asserita incompatibilita con l'idea della maggior importanza di una singola vita rispetto ad un'altra. Ciascuna esistenza quindi, secondo questo principio, richiede per sé non minore rispetto e dignita (principio di eguaglianza formale).

La seconda dimensione viene invece formulata da Dworkin con le caratteristiche proprie del principio di liberta. Essa e denominata "principio della responsabilita personale" ed e dall'autore formulata come il fatto che "ciascuno di noi e personalmente responsabile della gestione della propria esistenza: ha la responsabilita di decidere che tipo di vita sia degna di essere vissuta"[13]. Il che implica che non vi sia chi (uno

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stato, una religione, un partito, ma anche nessun altro individuo) abbia il diritto di sostituirsi ad alcuno in questo giudizio circa la propria condotta futura. Questo e il motivo per il quale si puo intravedere un nesso tra questa seconda dimensione della dignita e il principio di liberta.

Secondo il filosofo americano, infine, i due principi, presi insieme (che ogni vita abbia un valore intrinseco potenziale e che sia responsabilita di ciascuno realizzare tale valore nella propria vita), costituiscono "le basi e le condizioni della dignita umana", le due dimensioni di essa (formulazioni molto astratte delle idee di uguaglianza e liberta). Esse, contrariamente a quanto generalmente si crede, non appaiono affatto contraddittorie in questa prospettiva, ma invece possono essere rese compatibili fino a divenire l'una un aspetto dell'altra[14].

Il romanista Umberto Vincenti, nel valutare criticamente la teoria, sostiene che il disinteresse manifestato da Dworkin per la storia e "la sua pressoché esclusiva attenzione verso il presente attenuano la profondita del suo pur serrato, e suggestivo, argomentare"[15]. Allorché invece occorrerebbe far emergere questa tradizione nella concezione occidentale anche al fine di inquadrare "correttamente" la discussione sui grandi temi della giuspolitica contemporanea, a partire dai diritti dell'uomo, obiettivo che egli persegue nel testo Diritti e dignita umana.

Mi sembra che l'osservazione di Vincenti non sia condivisibile, anche se la posizione del filosofo neocostituzionalista, come gia accennato, e certamente da criticare per il suo astrattismo, ma in una direzione affatto diversa da quella indicata dal romanista.

Occorre in primo luogo notare come il discorso di Dworkin sia espresso in una formulazione che non e affatto formalmente legata a una radice culturale precisa (ancorché lo sia innegabilmente dal punto di vista storico, esprimendo in qualche modo gli stessi ideali del "sogno americano" e della concezione di vita americana), essendo meramente argomentativa e non gia normativa. Tratto che, nel contesto attuale della globalizzazione e dei confronti culturali da essa innescati, non mi pare un difetto, ma un pregio: egli cerca di sviluppare un ragionamento che, al di fuori di un legame con un dato normativo positivo esplicito (fossero anche le dichiarazioni dei diritti dell'uomo del dopoguerra) e universalmente condivisibile. In altre parole, la sua argomentazione, pur riferita alla contingenza politica del dibattito americano, sfugge alla tentazione occidentale, propria dei giuristi contemporanei, di radicare la dignita nel discorso dei diritti umani (che oggi non sono affatto la cultura condivisa da tutti sul pianeta, basti pensare ai fondamentalismi religiosi e alla Cina). Da questo punto di vista come non vedere che il modello adottato nel tentativo di formulare le ragioni (non le norme positive) del liberalismo e certamente debitore all'impostazione razionale e astratta della teoria della giustizia di Rawls nel formulare lo stato di natura, la posizione originaria di ciascuno nel momento del patto originario? In altre parole questo ragionare e filosofico, non dogmatico: si tenta di costruire un dibattito in grado di coinvolgere ciascun uomo, non che sia imposto autoritativamente dalla

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legge, dalle armi o dal mercato. In questo senso, la sua prospettiva mi sembra ben orientata e volta a liberarsi dal normativismo novecentesco, cercando una fondazione morale e razionale del principio dignita, che, questa e la tesi che sostengo, non puo essere ridotta a un contenuto giuridico positivo, in quanto e un principio giuridico che contiene in sé il problema filosofico del fondamento del diritto e fatichera sempre, pertanto, a essere ridotta entro il discorso positivizzato dei diritti dell'uomo[16].

In secondo luogo, non ritengo che questa prospettiva non sia precisamente radicata nella tradizione della riflessione filosofica occidentale. Semplicemente, Dworkin non sente il bisogno di richiamarla. Indipendentemente dal fatto che l'autore ne sia consapevole, la prospettiva mi sembra affiancabile al discorso concernente il legame tra dignita e liberta rintracciabile in Pico della Mirandola. La tradizione in questione non e gia quella kantiana che ha permeato di sé la cultura tedesca e conseguentemente europea[17], fornendo un modello della dignita oggi ampiamente diffuso in ambito giuridico. Essa fornisce invece un preciso riferimento per il problema del nesso tra liberta e dignita dell'uomo, e, in questo senso, mi pare che il procedere argomentativo analizzato si possa ricollegare a tale tradizione[18], almeno dal punto di vista metodologico.

Non vi e dunque un'assenza di radicamento filosofico in questo discorso, quanto il tentativo di fondare in un modo non positivistico il concetto, e questo e un indubbio elemento positivo del procedere dell'autore[19].

Il nesso tra liberta e dignita e infatti ben presente nel Discorso di Dio all'uomo presente nell' Oratio de dignitate hominis di Pico della Mirandola, che sottolinea la capacita dell'uomo di elevarsi o di abbassarsi al rango bestiale, in altre parole di conquistare la propra dignita tramite l'autodeterminazione o di perderla:

"Non ti abbiamo dato, o Adamo, una dimora certa, né un sembiante proprio, né una prerogativa peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti la dimora, il sembiante, le prerogative che tu da te stesso avrai scelto. La natura agli altri esseri, una volta definita, e costretta entro le leggi da noi dettate. Nel tuo caso sarai tu, non costretto da alcuna limitazione, secondo il tuo arbitrio, nella cui mano ti ho posto, a decidere su di essa. Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi piu facilmente guardare attorno a quanto e nel mondo. Non ti abbiamo fatto né celeste né

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terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito. Potrai degenerare nei esseri inferiori, che sono i bruti; potrai rigenerarti, secondo la tua decisione, negli esseri superiori, che sono divini."[20]

La radice filosofica della dignita dell'uomo e dunque situata nella sua capacita di autodeterminazione di cui egli solo e responsabile. Il "manifesto del Rinascimento" non proviene tuttavia da un'assenza di confronto con la tradizione, ma, al contrario, e posta a introduzione delle monumentali 900 Conclusioni[21], in cui il giovanissimo filosofo italiano fornisce una vera e propria Summa dialettica del sapere umano dell'epoca, ponendosi l'obiettivo di confrontarsi con tutte le tradizioni di pensiero e le culture esistenti. Il che non implica affatto che non vi sia una valenza giuridica del discorso sulla dignita/liberta di Pico; semplicemente questa non e stata compresa davvero nell'ambito della riflessione concernente il diritto, che spesso preferisce far iniziare il discorso "giuridico" moderno concernente la dignita da Kant. Lo stesso Vincenti, che pur fa riferimento esplicito alle precedenti tradizioni romanistica e cristiana analizzandole in profondita, sembra non sapere ben dove collocare la prospettiva di Pico finendolo per espellerla dallo stesso discorso giuridico per confinarla piuttosto nell'ambito della riflessione meramente "filosofica" sulla liberta dell'uomo[22]. Al contrario Dworkin, sia pure nella diversita del contesto, mi sembra collocarsi in una prospettiva pichiana, per il suo insistere sul nesso liberta/dignita e per la finalita pratica del suo discorso, per certi versi paragonabile alle 900 tesi di Pico, il cui intento era insieme culturale e politico.

Mi pare che sia a partire di qui che puo essere ripresa la teoria concernente il nesso filosofico-giuridico circa il rapporto tra liberta, dignita e fondamento antropologico e relazionale del diritto positivo, di cui il discorso di Dworkin mi pare testimonianza e che tuttavia qui non puo che essere solo abbozzata mediante l'analisi di alcune forme che il legame sociale, a un tempo antropologico e giuridico, riveste (concernente l'analisi delle relazioni di dono e di scambio).

Chi infatti coglie con precisione l'apporto della nozione pichiana di dignita/liberta al tema del fondamento del giuridico e al successivo sviluppo della modernita e lo storico francese del diritto canonico Pierre Legendre nel suo studio sulla razionalita giuridica[23]. Egli definisce cosi il punto teorico sollevato da Pico, a partire dalla sua

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prospettiva estetica e antropologico-dogmatica: "Entro la storia del sistema dogmatico europeo, Pico e un evento paragonabile alla scoperta della prospettiva in pittura..."[24]

Gli inventori rinascimentali della tecnica pittorica della prospettiva, costruttori di un nuovo sguardo sul mondo, spesso rappresentavano l'ideale incrocio delle linee di fuga posto al di la del quadro come l'occhio di Dio, il luogo ideale dell'incontrarsi dei saperi (Teologia, Pittura, Diritto), ma al tempo stesso luogo simbolico della Terzieta, del Fondamento[25] del giuridico. La tecnica della costruzione della prospettiva, in altre parole, mi pare tecnica simile all' incrocio di principi che realizza Dworkin, nel collocare la dignita nel luogo ideale del fondamento della base comune del dibattito politico e della democrazia, nel luogo dell'incontro delle, per cosi dire, linee di fuga prospettiche dei due principi. Il movimento, e solo il movimento, che intende realizzare Dworkin nel costituire un oggettivo fondamento del legame sociale e della democrazia tramite la formulazione del principio dignita e allora vicino a quello di Pico, che lo storico francese restituisce al suo valore di "accesso al fondamento del giuridico" nella forma della liberta e dell'autonomia umana dogmaticamente fondata.

Legendre vuol dire qui che Pico e certo l'inventore della moderna concezione dinamica della liberta, posta pero entro lo sfondo giuridico della dignita, nel luogo ideale della terzieta, luogo del fondamento del giuridico. La liberta umana e il fondamento, mai assicurato o garantito, ma sempre suscettibile di essere perduto (la perdita della propria dignita e del proprio posto centrale nel mondo essendo sempre possibile per l'uomo libero allorché si trasforma in bestia, o nel linguaggio di Dworkin, fallisce la propria vita sprecando le proprie potenzialita). La liberta/dignita viene, per cosi dire, rappresentata sullo scenario finzionale della rappresentazione del fondamento e della tradizione giuridica della nozione di persona, come evoluzione di essa, proveniente dalla elaborazione dei concetti romanistici e poi medioevali di fictio iuris e di universitas[26].

Possiamo quindi gia trovare nella interpretazione dell'Oratio di Pico la base di quelle teorie della dote ("Mitgifttheorie", l'idea che ogni uomo ha una imprescrittibile dignita che non puo perdere) e della prestazione ("Leistungstheorie", la prospettiva per la quale la dignita e il risultato dell'azione umana, che quindi puo smarrire la propria dignita ), come riconosce Hoffmann nella sua analisi della cultura giuridica tedesca, notandone la non contraddizione: "Le due teorie giuridiche tedesche... si basano entrambe da ultimo sul principio della personalita dell'uomo, della soggettivita dell'individuo e cioe: sul principio dell'autonomia del singolo, che

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a partire dal discorso De dignitate hominis del 1486 dell'umanista fiorentino Giovanni Pico della Mirandola, ha dominato la storia europea sino a che su di essa non ha prevalso il nazionalismo"[27]. Anche Luhmann, peraltro, propone una "delimitazione" tra concetto di dignita e di liberta che "al tempo stesso rende comprensibile la peculiare interdipendenza dei due concetti, la loro simmetria"[28]: la dignita riferendosi a condizioni e problemi interni dell'autorappresentazione della personalita individuale, mentre la liberta a quelli esterni.

Non appare tuttavia possibile seguire gli aspetti problematici che queste distinzioni pongono, limitandosi invece, nei prossimi paragrafi, a indicare sinteticamente prima come il legame liberta/dignita mostri anche il suo volto oscuro per la teoria giuridica: la indeterminazione del concetto che ne causa una sostanziale ambiguita. Precisando poi come sia forse almeno ipotizzabile un programma di ricerca intento a definire la nozione di dignita che muova da una concezione antropologico-relazionale del giuridico, in relazione alle nozioni di dono e scambio.

II. Problemi dell'uso costituzionale della dignita: un principio "malleabile"?

E ben conosciuto come la nozione di dignita possa essere usata in modo ambiguo nella attivita quotidiana dei tribunali, al fine di difendere valori anche antitetici. In particolare in bioetica la dignita puo essere usata per perseguire fini opposti. Come nota Gaetano Silvestri in un intervento al Convegno trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese e spagnola, "I giudici costituzionali hanno la rilevante e difficile responsabilita di vigilare che la dignita non diventi uno schermo dietro il quale si possono celare violenze sociali e culturali ad essa apparentemente ispirate"[29]. Essa si mostra quindi come una "creatura giuridica camaleontica, mutevole nel tempo e sfuggente ad ogni tentativo di cristallizzazione concettuale"[30]. Di fronte ad essa si corre il rischio che un concetto di dignita concepito come clausola generale di tutela "diventi in fin dei conti una clausola onnicomprensiva in grado di inglobare in sé tutto (e niente) e tutelare tramite sé tutto (e niente)". Si potrebbe arrivare cosi, con riferimento alla Corte Costituzionale italiana, "persino a svuotare completamente la formula linguistica "dignita umana" del valore giuridico che essa invece vuole rappresentare e garantire, e questo soprattutto a seguito dello smodato riempimento di contenuti da parte della Corte Costituzionale"[31]. Inoltre si tratta di un principio che puo essere usato in riferimento a categorie di uomini, con lo svantaggio di far

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paradossalmente percepire il principio come volto alla tutela non del singolo uomo in quanto tale, ma come tuitela di categorie settoriali e limitate.

L'adempimento di questo principio, inserito nelle principali carte costituzionali e in modo ancor piu significativo nella Carta dei diritti dell'Unione Europea, non e insomma di facile realizzazione: "La dignita umana rappresenta infatti un concetto giuridicamente indeterminato e relazionale, il cui significato non puo essere stabilito ex ante e in assoluto, ma va costituzionalizzato nell'ambito storico, territoriale, soggettivo in cui si inserisce"[32]. Senza naturalmente sottovalutarne l'importanza giuridico-positiva, l'impressione e che i dubbi dei costituzionalisti circa l'uso giurisprudenziale del concetto indichino quello che gia sembrava latente nella posizione di Dworkin. Vale a dire che la "non catturabilita" giuridico-positiva del principio, la sua "relazionalita", la sua non esaustiva definibilita sia paradossalmente dotata di un senso filosofico: come se la costituzionalizzazione del principio di dignita rinviasse a tutto quello che permane irriducibile al sistema giuridico; come se all'idea di dignita fosse legato il rinvio al valore fondante il legame sociale e politico, al fondamento stesso della democrazia, sempre cangiante nelle diverse epoche. E se la nozione di dignita fosse allora da intendere come un concetto di ordine logico superiore, la "positivizzazione", per cosi dire, dello stesso tratto sfuggente della norma fondamentale kelseniana? Se fosse un concetto antropologico e relazionale, ancor prima che giuridico positivo? L'analisi della teoria di Legendre sembrerebbe confermare il punto. Egli, infatti, sembra collocare la nozione di dignita/liberta individuata nel pensiero di Pico entro la concezione della "malleabilita del Riferimento fondatore" che egli individua come struttura stroriografica caratterizzante il secondo millennio cristiano, osservabile sin dalla Rivoluzione papale di Gregorio VII[33].

La nozione legendriana di "Malleabilita del Riferimento" fondatore e volta a considerare insieme, collocandoli in un unico Luogo mitico finzionale, il luogo della rappresentazione del potere, concetti differenti quali Dio, Stato, Democrazia, Scienza, Mercato, Multinazionale. Questi sono Riferimenti fondatori, alcuni tra i nomi diversi assunti dal Riferimento mitico fondatore lungo il corso del secondo millennio e del processo di secolarizzazione che ha dato luogo alla modernita. Anche se in questa sede non appare possibile sviluppare il punto[34], dal punto di vista giuridico e possibile notare che l'istituto sottostante a questo schema storiografico di comprensione dell'evoluzione del diritto (quasi una storia del fondamento del giuridico, fino alla norma fondamentale kelsensiana) e il mandato - in particolare il

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ruolo da esso assunto nel diritto privato e nel diritto pubblico. Ci riferiamo a quello schema generalissimo per il quale il giurista opera (finzionalmente?) sempre in nome del fondamento del giuridico (logica del Terzo). Schema osservabile in modo costante e mai abbandonato per tutto il corso dello sviluppo giuridico occidentale nonostante la successione dei "Riferimenti fondatori" storici: a partire da Triboniano intento ad assemblare il Corpus Iuris Civilis nel nome dell'imperatore Giustiniano, passando per il monaco Graziano intento a distinguere nel Decretum Gratiani tra testi veri e apocrifi in nome del Pontefice, fino ai moderni giudici delle democrazie che amministrano il diritto in nome del Popolo.

L'interpretazione legendriana della teoria di Pico concepisce la dignita sullo sfondo dell'ingresso nella tradizione occidentale di una "dogmatica della liberta", vale a dire di un fondamento dogmatico della nozione di liberta. E a partire da questo fecondo crogiuolo che possono essere lette le successive teorie, in relazione al permanere, in contesti storici diversi ed in epoche[35] differenti, del problema del fondamento antropologico e relazionale del giuridico a cui il principio dignita rinvia. E dunque altresi in questo contesto teoretico, ancor piu che in quello dei diritti dell'uomo, che la questione deve essere posta, senza ridurre le questioni filosofiche che pone il principio dignita alle necessita degli usi costituzionali del termine. La posta in gioco relativa alla nozione di dignita mi pare allora, la ripresa stessa del dibattito concernente il fondamento del giuridico, dopo le teorie della norma fondamentale kelseniana e della regola di riconoscimento di Hart.

III. Verso un nuovo accostamento. Dono e scambio: per un accostamento fenomenologico alla dignita

Nel tentativo di porre in modo nuovo il problema filosofico concernente l'uso giuridico della dignita, non intendo in questa sede analizzare la teoria kantiana, né il successivo dibattito giuridico tra "teoria della dote" e "teoria della prestazione", quanto piuttosto porre le basi per un ripensamento del fondamento del diritto, ridotto alla questione meramente giuridica delle fonti del diritto positivo. Punto di partenza sara quindi un breve cenno[36] al dibattito fenomenologico francese sulla questione del dono.

In altre parole propongo di rinnovare la questione del nesso dignita/liberta tra gli estremi della Mitgifttheorie e della Leistungstheorie sostituendo alle due prospettive la teoria del dono e la teoria dello scambio (in questo paragrafo) e poi tentare di incrociare (nello stesso senso estetico/pittorico a cui si riferisce Legendre) le due prospettive inserendovi il tema della dignita.

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A partire dal noto Saggio sul dono di Mauss[37], il rapporto tra il fenomeno sociale dello scambio e quello del dono sono stati analizzati in antropologia a partire dalla societa tribali. Il decostruzionista francese Jacques Derrida ha poi mostrato come la nozione di "dono" possa essere ridotta alla nozione di scambio: nelle societa tribali, ma anche in quelle contemporanee e nelle relazioni personali, secondo la sua prospettiva, la pretesa realta del "dono" puo ben nascondere una realta soggiacente di calcolo, celando cosi la "reciprocita" insita nel dono, intesa nella forma dello scambio. Il dono, in altre parole, e fenomeno ambiguo (almeno quanto l'interpretazione costituzionale della dignita umana). A partire da questa constatazione Derrida ritiene che il fenomeno del dono sia "impossibile"[38] e contraddittorio. Per esistere, il dono non deve essere percepito come tale, altrimenti si riduce a mero rapporto di scambio. Il dono e dunque presente[39] solo se non e presente, se non e disponibile: tratto che rivela il carattere paradossale della nozione di dono.

Sia detto per inciso, forse un ragionamento analogo si potrebbe proiettare in ordine alla nozione di Welfare State: anche esso sembra funzionare paradossalmente allorché individualmente non e percepito come un "dono" o un "diritto", mentre laddove esso viene considerato dovuto tende a generare effetti perversi. Proprio questo e l'ambito della riflessione in cui si muove Dworkin allorché cerca di costruire un principio di dignita in grado di tenere insieme liberta e dignita: stiamo qui toccando un centro della logica delle scienze sociali.

Del resto anche un economista liberale come Hayek fornisce una giustificazione alla concorrenza e alle sofferenze che il mercato comporta (sforzi non ricompensati, imprese in fallimento ed espulse dal mercato, ecc,) ricorrendo non al solo principio del merito, ma anche a quello della fortuna e del caso: "E certo che la disuguaglianza e meglio sopportata e colpisce molto meno la dignita di ciascuno quando e determinata da forze impersonali che non quando e dovuta a un fatto intenzionale. In una societa basata sulla concorrenza, se una determinata ditta ci dice che non ha bisogno di noi o che non puo offrirci un'occupazione migliore, non c'e in questo alcuna mancanza di rispetto o offesa alla dignita personale [...] E la disoccupazione o la perdita di reddito, che colpira sempre qualcuno, in ogni forma di societa, e certamente meno avvilente se dipende da disgrazia e non e deliberatamente imposta dall'autorita"[40]. In altre parole, anche la giustificazione dei risultati del mero processo di scambio proprio della logica di mercato appare non privo di ambiguita: come se la fortuna e il caso avessero oggi preso il posto del tragico e del fato del mondo classico. Neppure il concetto economico di scambio, in altre parole ci fa notare Hayek, e

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"puro" scambio, anche in esso si annidano residui "non sinallagmatici" della relazione, ma giustificabili in quanto riconducibili al caso, alla fortuna, vale a dire a qualche cosa di paradossalmente "non dovuto" nello scambio. A partire di qui potremmo concludere, seguendo Derrida, che quel che e dovuto nel processo dello scambio, in realta non e totalmente dovuto, ma vi e sempre un residuo, un resto non "meritato" ma fortuito (donato?), nel processo di mercato. Si puo allora forse sostenere che lo scambio contiene in sé "del dono"? Certo la giustificazione dell'ordine di mercato non e aliena dal ricorso a meccanismi " a mano invisibile", come e noto.

Tornando alla fenomenologia francese, e noto come il filosofo cattolico francese Jean-Luc Marion critichi radicalmente l'impianto teorico attuato da Derrida in relazione al dono[41]. Egli sostiene che sia assurdo negare l'esistenza di qualcosa come il dono nelle nostre societa e nelle nostre vite e fa cosi del dono (o meglio del principio della donazione) un tratto fenomenologico, riferibile alla riduzione fenomenologica husserliana[42]. Cosi il richiamo husserliano al ritorno alla cosa, principio metodologico fondatore, viene sostituito dal richiamo alla donazione: "tanta riduzione quanta donazione" o ancora "cio che si mostra prima si da (dona)". La donazione diviene cosi una sorta di filosofia prima ("Viviamo nella donazione")[43].

Con riferimento al dibattito sulle nozioni di dono e scambio, Marion elabora poi una riduzione fenomenologica del donante, del donatore e del dono alla donazione. Egli reintroduce cosi, contro Derrida, la differenza tra il fenomeno del dono e il fenomeno dello scambio, sostenendo e argomentando la possibilita di individuare un fenomeno riconducibile al "dono" nel nostro mondo, anzi costitutivo della nostra realta umana (la "donazione").

L'orizzonte filosofico kantiano nel pensare il fenomeno (e il noumeno) e cosi dunque oltrepassato. Appare dunque logico pensare che anche il tema della dignita come principio giuridico possa non essere piu necessariamente pensato a partire dal modello kantiano.

IV. Verso una teoria complessa della dignita

Per provare a fornire una soluzione alla questione della ambiguita costituzionale della nozione di dignita, e del suo riferirsi al fondamento, puo forse essere utile, accanto alla strada consolidata delle teorie della dote e della prestazione (Mitgifttheorie e Leistungstheorie), aprire nuove strade di riflessione filosofica. Al fine di ripensare l'intera questione del principio della dignita ponendola di fronte alla questione del fondamento del giuridico (o della donazione fenomenologica), e forse in grado di indicare la dimensione antropologica e relazionale del tema.

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Il teologo e compositore italiano Pierangelo Sequeri rivolge una critica sia a Marion sia a Derrida. a proposito del rapporto tra dono e scambio[44]. Egli nota come non sia possibile, in sede teologica, concepire la questione della relazione col divino nei termini del "puro dono", intesa senza contraccambio dal lato "umano". Se la nozione di Dio deve avere qualche senso, essa non puo ricadere nella stessa ambiguita delle nozioni di dono o di scambio (o di dignita, aggiungerei): un Dio concepito come ambiguo e non affidabile[45], semplicemente non puo essere pensato come divino. La concezione del Dio cristiano, d'altra parte, non e quella di un soggetto che assiste indifferente agli eventi terrestri: egli chiede all'uomo comportamenti precisi, azioni, fede. D'altra parte, il legame con Dio non e assoggettabile alla logica economica dello scambio (anche se a volte e stata inteso forse proprio in questo senso in sede ecclesiale). La logica del rapporto col divino deve rispondere a un principio non retto dal calcolo e dallo scambio, ma riferita a un'idea di "scambio" non determinato, non soggetto a calcolo, ma riferito alla liberta, a un'accezione qualitativa e non quantitativa della nozione, retta dall'idea di libera reciprocita.

Una figura di scambio che non e possibile calcolare, restando tuttavia una reciprocita che interpella l'azione dell'uomo e non un puro "dono a perdere", e assai differente dalla nozione "utilitarista" dello scambio economico. La potremmo definire l'idea di uno scambio degno, vale a dire uno scambio non quantitativo, ma qualitativo, interpellante la reciprocita nella forma della liberta dell'uomo e non della legge (sempre un poco "del taglione").

Questa visione mi pare rappresentare l'embrione di una concezione antropologica relazionale della dignita. Sequeri propone, in altre parole, di sostituire la nozione (teologica) di "puro dono" con la nozione di una corrispondenza qualitativa[46], di uno "scambio degno e libero" costitutivo dell'antropologico e del legame sociale fondante il vivere comune.

Nel tentativo di differenziare mero scambio economico (tra uomo e uomo) e scambio teologico (tra uomo e Dio) mi pare che egli ritrovi quel nesso tra liberta e dignita insito nel discorso di Dio all'uomo di Pico, anche se invertito. Ora, a secoli di distanza da Pico, ci vorrebbe forse un nuovo discorso, dell'uomo a Dio questa volta, per cosi dire, in grado di fondare antropologicamente la dignita (giuridica) e la liberta umana!

La relazione degna tra uomo e Dio, ma forse anche fra uomini, sembra dunque richiedere una dimensione di reciprocita avente la forma della liberta, dello scambio di cio che e dovuto, da pensare nella forma del qualitativo e non del quantitativo. Alcune nuove forme di relazione reticolare gia testimoniano questo emergere di nuove modalita relazionali. Si tratta di vedere se esse riescano a sfuggire all'ambiguita di cui i processi umani di dono e scambio sono da sempre afflitti.

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Possiamo cosi concludere antropologicamente, proseguendo il ragionamento del teologo, che l'uomo da un lato sembra aver bisogno di una sfera di azione dominata dal mero scambio economico, in cui egli possa costruire la propria autonomia. Dando cosi senso e concretezza al secondo requisito espresso da Dworkin per il quale ciascuno, responsabile della realizzazione della propria vita, non deve essere soggetto alla determinazione di fini compiuta da altri in sua vece.

Vi deve pero essere, d'altro lato, un'altra sfera, dominata dallo scambio qualitativo, in cui la relazione di corrispondenza e dominata dal principio del dello scambio Nella forma della liberta, che e anche uno "scambio degno" dell'uomo. Ove la forma che assume la dignita non puo essere determinata tuttavia a priori, ma e necessariamente relazionale e non definitiva. contestuale e non aprioristica. Questo scambio degno e in un certo senso come se fosse un dono, ma un dono che interpella la liberta a una restituzione pensata nelle forme della liberta e non in quelle costrette e vincolate della schiavitu, fosse anche quella economica.

Da un punto di vista antropologico, cosi, e indubbio che la sfera dello scambio economico viene prima ed e condizione dell'esercizio della liberta umana (dello scambio degno), anche se ontologicamente la sfera della donazione viene compresa come la condizione che invece fonda la prima.

Possiamo quindi tracciare qualche osservazione conclusiva sul tema della problematica nozione giuridica di dignita dell'uomo.

Vi sono probabilmente due dimensioni della dignita nel pensiero giuridico contemporaneo. Propongo di denominarle dignita dono e dignita scambio. La prima e l'idea di una dignita data, come quella proposta nel Titolo I della Carta dei Diritti dell'Unione Europea, l'inviolabile e imprescrittibile dignita dell'uomo. Si tratta di una dignita intesa (come se fosse un) dono, che ogni uomo possiede e non puo perdere. In questo senso il diritto, mi pare, conserva per l'uomo la sua dignita, indipendentemente dal fatto che egli, concretamente, la perda nella propria vita quotidiana. Qui il diritto si sostituisce all'uomo, consentendogli di sfuggire al suo essere realmente divenuto peggio di una bestia, in quanto essere capace del male. E tuttavia questa possibilita e sempre solo il segno di una potenzialita che l'uomo deve individualmente accogliere e perseguire. Si tratta di una nozione finzionale, che viene tenuta per come sempre gia data, dogmaticamente posta al di fuori di ogni discussione, normativamente riconosciuta, anche laddove non si da nella realta.

Vi e poi un'altra concezione di dignita pensata come, non inviolabile, ma totalmente relazionale, costruita dall'uomo e quindi necessariamente ambigua e utilizzabile costituzionalente in modi assai differenti, per servire finalita diverse.

Il problema giuridico che si pone, e il come articolare socialmente i due tipi di dignita in un sistema giuridico concretamente esistente.

Non sono quindi affatto sorpreso che il principio della dignita susciti tante controversie giuridiche. Esso mi pare uno dei luoghi, nell'attuale diritto, ove si presenta la questione del fondamento del giuridico. E uno dei nomi che oggi sembra assumere il secolare conflitto tra diritto naturale e diritto positivo.

L'apporto del pensiero fenomenologico mi sembra tuttavia contribuire a chiarire, almeno per l'oggi, questo eterno conflitto. Non v'e affatto un noumeno della dignita: la dignita e un fenomeno e, come tutti i fenomeni, e soggetto a oscillazioni culturali

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e a una comprensione storica della nozione. Questo non significa affatto che la peculiarita della nozione di dignita non contenga dentro di sé qualcosa di realmente inafferrabile e imprescrittibile, vale a dire la custodia della nozione di umanita dell'uomo[47], espressa in forme giuridiche.

Il problema che si rinnova sempre ad ogni generazione e come connettere le due concezioni di dignita in forme concrete, entro l'esercizio osservabile di un sistema giuridico dato, nello sviluppo di culture e paesi determinati.

Quello che mi pare di poter concludere, da filosofo del diritto, e che la nozione di dignita e uno dei (rari) luoghi in cui si e conservata, nel sistema del diritto positivo odierno, l'idea del fondamento antropologico del giuridico, entro un contesto radicalmente positivista e utilitarista.

Forse lo sviluppo di una concezione fenomenologica, antropologica, e perfino teologica, della dignita dell'uomo potra aiutare a individuare nuovi modelli pragmatici di uso costituzionale della nozione, antropologicamente piu complessi, ma anche piu realistici di quelli economicistici oggi a disposizione.

Quello che mi pare assodato e che in questa nozione sia ancora presente un elemento: che il problema del fondamento del giuridico non e ancora stato definitivamente risolto o ridotto alla mera esistenza di sistemi di diritto positivo, e, conseguentemente, che l'uomo non e ancora stato assoggettato a una logica meramente utilitaristica di esistenza. Proprio il carattere mobile delle concezioni della dignita attestano il fatto che ogni generazione si trova esposta a conferire a questo concetto un nuovo significato, confrontandosi con il problema del fondamento non meramente positivo del giuridico e della logica non meramente quantitativa che presiede all'economico. Come popolo europeo, dobbiamo forse allora oggi prendere spunto dall'inserimento del Titolo I della Carta dei diritti europea dedicata al principio dignita per iniziare a pensare il problema del fondamento del diritto in un modo piu complesso rispetto a quello hartiano che ha dominato gli ultimi decenni. Al fine anche di sopravvivere, nell'epoca della globalizzazione, con quel poco di dignita, individuale e collettiva, che il supposto declino dell'Occidente, annunciato da piu di un secolo, potra permettere.■

JEGYZETEK

[1] R. Dworkin: Is democracy possible here? Principles for a new political debate. Princeton University Press, Princeton and Oxford, 2006. (Trad. it. La democrazia possibile. Principi per un nuovo dibattito politico. Feltrinelli, Milano, 2007.)

[2] Concepiscono diversamente il rapporto, con riferimento specifico al dibattito politico italiano, non americano, N. BOBBIO: Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma, 1994; M. Revelli: Sinistra destra. L'identita smarrit. Laterza, Roma, 2007.

[3] R. Dworkin op.cit., 29.

[4] Per un'analisi sintetica del problema, M. Salvadori: Democrazie senza democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2009. Per un'analisi piu complessa del contesto socio giuridico della postmodernita contemporanea, mi permetto di rinviare a P. Heritier: Societa post-hitleriane? Giappichelli, Torino, 2009[2].

[5] R. Dworkin op.cit., 19.

[6] R. Dworkin op.cit., 26.

[7] Sul valore fondante della propensione dialogica per la democrazia anche K. Popper, Il mito della cornice. Difesa della razionalita e della scienza, Il Mulino, Bologna, 1995.

[8] Per la critica a questo dispositivo rawlsiano (anche in relazione al pensiero neohobbesiano americano), si veda J. P. Dupuy: Avevamo dimenticato il male? Pensare la politica dopo l'11 settembre. Giappichelli, Torino, 2010.

[9] Che e il programma di ricerca che attualmente perseguo con due monografie in corso di redazione, Lo scambio degno. La dignita del diritto, tra dono e scambio, di cui questo articolo costituisce un primo tratto e Antropologia giuridica I. L'estetica della secolarizzazione e il fondamento del diritto positivo. Legendre, Dupuy, Sequeri.

[10] Sulle difficolta dei costituzionalisti all'utilizzo giuridico-positivo del principio della dignita, ad esempio, A. Pirozzoli: Il valore costituzionale della dignita. Un'introduzione. Aracne, Roma, 2007. Con particolare riferimento all'esperienza della transizione del regime giuridico ungherese, C. DuprÉ: Importing the Law in Post-Communist Transition. The Hungarian Constitutional Court and the right to Human Dignity. Hart, Oxford, 2003; P. Kovács: La dignité dans la jurisprudence de la Cour Constitutionelle in Introduction a la jurisprudence de la Cour Constitutionelle de la République de Hongri. Budapest, 2009, e a quello israeliano, D. Kretzmer - E. Klein (eds.): The Concept of human Dignity in human Right Discourse. Hebrew University of Jerusalem. Kluwer, London, New York, 2002.

[11] Tema enorme, legato nel novecento ai nomi di Kelsen e Hart, che appare possibile qui solo menzionare.

[12] R. Dworkin op.cit., 28.

[13] R. Dworkin op.cit., 34.

[14] R. Dworkin op.cit., 29.

[15] U. Vincenti: Diritti e dignita umana. Laterza, Roma-Bari, 2009.

[16] Nell'immenso dibattito che questo problema solleva, cito solo il recente libro di A. Schiavello: Perché obbedire al diritto? La risposta convenzionalista e i suoi limiti. ETS, PISA ,2010., che fornisce un buon inquadramento della "svolta convenzionalista" al problema del fondamento del diritto e ai suoi (numerosi) problemi.

[17] Sul tema K. Seelmann: Menschenwürde: ein neuer Schlüsselbegriff, in Rechtsphilosophie 3. Auflage, C.H. Beck, München, 2004. (trad. it. Filosofia del diritto, Napoli, Guida, 2006.); J. Eckert: Legal Roots of Human Dignity. in D. Kretzmer - E. Klein (eds.): op. cit., 41-53. Anche V. Mathieu: Privacy e dignita umana. Una teoria della persona. Giappichelli, Torino, 2004, M. A. Cattaneo: Dignita umana e pena nella filosofia di Kant. Giuffre, Milano, 1981.

[18] Sul tema della dignita in Dworkin, si veda anche R. Dworkin: Il dominio della vita. Aborto, eutanasia e liberta individuale. Edizioni di Comunita, Milano, 1994.

[19] Piuttosto, come gia accennato, anche il ragionamento di Dworkin mi sembra criticabile in quanto ancora influenzato da quello stesso astrattismo razionalista imperante nella tradizione giuridica postkantiana: il suo tentativo, per cosi dire, non presta sufficientemente attenzione alla sfera dell'antropologico.

[20] La traduzione e in www.brown.edu/Departments/Italian_Studies/pico. G. Pico della Mirandola, De dignitate hominis, latino/italiano. Anche C. Bori: Pluralita delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignita umana di Pico della Mirandola. Feltrinelli, Milano, 2000.

[21] G. Pico Della Mirandola: 900 Conclusions philosophiques, cabalistiques et théologiques, latin/ francaise, Allia, Paris, 2006.

[22] "La questione della dignitas hominis come valore immanente all'uomo in sé, di cui ciascuno e portatore per il solo fatto di esistere, comincio cosi a interessare il pensiero umanistico occidentale nelle sue manifestazioni letterarie e filosofiche e, successivamente, anche normative, a livello costituzionale prima, sovranazionale poi". (sottolineatura nostra)... "Fu Kant a costruire il passaggio dalla dignita come categoria etica alla dignita come categoria (anche giuridica), con la quale la contemporaneita principalmente si confronta". U. Vincenti op.cit., 22., 28. Sulla nozione romanistica di dignita, anche M. de Filippi: Dignitas. Tra Repubblica e Principato. Cacucci, Bari, 2009.

[23] P. Legendre: Lecons 1. La 901e Conclusion. Étude sur le théatre de la Raison. Fayard, Paris, 1998.

[24] P. Legendre: Lecons 1, cit., 47. (traduzioni dal francese, anche successive, nostre). Per un'esposizione riassuntiva delle tesi di Legendre, P. Legendre: Della societa come testo. Lineamenti di un'antropologia dogmatica, a cura di P. Heritier, Giappichelli, Torino, 2005. Su Legendre, L. Avitabile: La filosofia del diritto in Pierre Legendre. Giappichelli, Torino, 2004.; P. Heritier: Nomenclature e nomi del Padre. Dogmatica occidentale e teologia giuridico-politica in Pierre Legendre. In P. Sequeri - S. Ubbiali: a cura di, Nominare Dio invano? Orizzonti per la teologia filosofica, Glossa. Milano 2009, 403-438.

[25] Non posso qui che rinviare per questi aspetti a P. Legendre: Della societa come testo, cit., 141ss., L. B. Alberti: De pictura, ed. bilingue, Laterza, Roma-Bari, 1980.

[26] P. Heritier: Fictio iuris, persona, agency. In M. Leone (ed.): Actants, Actors, Agents. Aracne, Roma, 2009, 101-116.

[27] H. Hoffmann: La promessa della dignita umana. La dignita dell'uomo nella cultura giuridica tedesca. In Riv. Internaz. Fil. dir., Giuffre, Milano, 1999, 626s.

[28] N. Luhmann: I diritti fondamentali come istituzione. Dedalo, Bari, 2002, 131.

[29] G. SILVESTRI: Considerazioni sul valore costituzionale della dignita della persona. Intervento al convegno trilaterale delle Corti italiana, portoghese e spagnola, tenutosi a Roma il primo ottobre 2007, in www.associazionedeicostituzionalisti.it/dottrina/libertadiritti/silvestri.html

[30] A Pirozzoli op.cit., 133.

[31] A Pirozzoli op.cit., 136.

[32] G. Pistorio: Art. 1. Dignita Umana. In G. Bisogni - G. Bronzini - V. Piccone: La Carta dei Diritti dell'Unione europea. Casi e materiali, 43.

[33] P. Legendre: La Pénétration du droit romain dans le droit canonique classique. Paris, Jouve, 1964; P. Legendre: Lecons 1X. L'autre Bible de l'Occident. Le Monument romano-canonique. Étude sur l'architecture dogmatique des sociétés. Paris, Fayard, 2009; H. Berman: Law and Revolution. The Formation of the western legal Tradition. Harvard University Press, Cambridge, Mass 1983; P. Prodi: Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime. La monarchia papale nella prima eta moderna. Il mulino, Bologna, 1982.

[34] Rinvio per la spiegazione di questo schema storiografica ai testi gia citati (nota 23).

[35] In relazione al problema dell'epoca, precisa il teologo Ubbiali: "L'indagine accerta l'orizzonte volta a volta qualificante l'epoca storica come il criterio inespresso nelle diverse espressioni divenute possibili soltanto grazie a esso>, S. Ubbiali: Teologia sistematica e storia della teologia. In Teologia. Rivista della Facolta teologica dell'Italia settentrionale, 3. 2005, Glossa, Milano, 335.

[36] Questo infatti e l'itinerario di ricerca che seguo nel volume Lo scambio degno. La dignita del diritto tra dono e scambio, in corso di preparazione.

[37] M. Mauss: Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle societa arcaiche. Einaudi, Torino, 2002. (1950)

[38] Impossibilita da intendere come l'unica possibilita disponibile all'uomo, caratteristica della decostruzione (si veda su Derrida, S. Petrosino: Jacques Derrida e la legge del possibile. Guida, Napoli, 1983.).

[39] Nei due sensi del termine italiano e francese: "temporalmente" presente, ma anche presente come "regalo".

[40] F. Hayek: Verso la schiavitu. Rizzoli, Milano-Roma, 1948, 94. Il testo e citato in J. P. Dupuy: Avevamo dimenticato il male? Pensare la politica dopo l'11 settembre. Giappichelli, Torino, 2010.

[41] J. L. Marion: Étant donné. Essai d'une phénoménologie de la donation. Puf, Paris, 1997. (Trad.it. Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, Sei. Torino, 2001.)

[42] J.L. Marion: Reduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie, PUF, Paris 1989.

[43] J.L. Marion: Dato che, cit., 13ss.

[44] PA. Sequeri: Dono verticale e orizzontale: fra teologia, filosofia e antropologia. In Il dono. Tra etica e scienze sociali, Ed. Lavoro, Roma, 1999.

[45] PA. Sequeri, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996.

[46] Questa mi pare essere anche la forma antropologica della liberta come corrispondenza pensata da un altro teologo, Carlo Isoardi, la cui analisi ci porterebbe lontano.

[47] Per questa complessa nozione, anche J.Y Lacoste: Esperienza e assoluto. Sull'umanita dell'uomo, Cittadella, Assisi, 2008.

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[1] A szerző professore asociato (Universita di Torino)

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